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Somalia, fuga dall'inferno di Giampaolo Visetti, Repubblica

MOGADISCIO - Dopo 14 conferenze di pace, a quasi un anno dall'invasione etiope e dai bombardamenti Usa, giustificati con la necessità di fermare l'avanzata di Al Qaeda in Africa, la Somalia precipita sempre di più nel dramma. Una settimana fa, infatti, dall'Etiopia sono arrivati altri 20 mila uomini e 52 carri armati con un ordine semplice: fare una strage. Comincia da qui il viaggio nell'inferno della Somalia, paese senza pace, dove centinaia di conflitti sono stati coperti dal marchio globale di una guerra civile che dura da 17 anni. I militari del presidente provvisorio sono alla fame, i civili allo stremo (quattromila i morti nel 2007): donne, bambini e vecchi scappano a piedi. Un popolo in fuga dalla capitale e che si rifugia nelle tendopoli. Sperando nell'aiuto della Comunità internazionale. Adesso, con un lampo strano negli occhi, lo chiamano "la scimmia". Hawo Ali, da due settimane, vive sospeso tra gli spini del secondo ramo di una grande acacia. È il segreto degli sfollati nel campo di Elasha, a sud della capitale. L'eroe dell'ultima battaglia di Mogadiscio ha 11 anni. Per due ore ha trascinato per le vie del grande mercato di Bakara il cadavere di uno dei sette soldati etiopici ammazzati dai ribelli al governo di transizione. La notte prima era stato costretto ad assistere allo sterminio della sua famiglia. Assieme alle vedove del clan è stato scelto dalle milizie degli shabaab, i giovani delle corti islamiche in rotta, per offrire un macabro regalo agli invasori di Addis Abeba. Nel 1993 era successo con gli americani. Lo choc popolare aveva costretto Bill Clinton a ritirare le truppe. Oggi non è andata così. Gli etiopici hanno arrestato venti maschi somali, rastrellati a caso nel quartiere di Yagshid. Venti uomini vivi in cambio di un cadavere preso a calci dalla folla? Ai mercanti del porto è sembrato che il nemico cedesse. L'errore l'hanno capito l'altra notte. Nel quartier generale dell'esercito governativo è entrata la salma dell'occupante, avvolta in un lenzuolo bianco. Dal carcere sono usciti venti sacchetti di nylon blu, riempiti con i pezzi degli ostaggi, irriconoscibili, mescolati alla rinfusa. È scattata così l'ultima vendetta etiope contro il popolo somalo, scudo per la nuova resa dei conti tribale. Un ordine semplice: consumare una strage senza limiti, decimare la capitale, seminare il terrore e la disperazione in ogni zolla del Paese. Per questo Hawo Ali ora deve nascondersi da tutti. Il 4 novembre è stato il volto dell'insurrezione ispirata dai fondamentalisti, decisi a innescare una rivoluzione nazionalista. Ha fallito. Ora, per tutti, è solo il colpevole del più crudele massacro del Corno d'Africa dall'inizio della guerra civile in Somalia. È un bambino, ma ha capito. Rifiuta la razione di mais. La sua patria è un altoforno in fiamme, il destino ha spento la sua stella. Dieci chilometri a nord, poco sotto lo stadio di Mogadiscio, tocca a Fortun Abdullahi Ali Afrah assistere alla catastrofe. Un proiettile le è esploso negli occhi. Ha sedici anni, nessuno ha il coraggio di portarla in un ospedale. La madre al mattino la depone su una sedia, in mezzo alla strada. Se non può vedere, che almeno senta quello che succede a chi può camminare. La città è un misterioso, imprevedibile, deserto campo di battaglia. Tra le macerie, squarci e spazi aperti dai bombardamenti sono vuoti. Negozi, mercati, scuole, uffici, università e porto sono chiusi. Ciò che resta della popolazione passa il giorno barricato nelle buche scavate sotto il pavimento delle case. Sono quasi tutti maschi, rimasti a difendere le proprietà. Chi deve uscire in cerca di acqua e di cibo, corre ricurvo tra auto bruciate e muri crollati. Cadaveri e feriti vengono lasciati dove cadono. Un'aria spessa, bollente e polverosa, stende su tutto una nebbia affumicata. Negli ultimi giorni non si spara più solo di notte. Gli insorti combattono in campo aperto. Ore di battaglia intensa cedono a lunghe pause di silenzio. Il terrore dirada gli scontri. Soldati etiopici e squadre fedeli al governo rastrellano però senza sosta, edificio per edificio. Circondano un quartiere e chi è all'interno è perduto. Ufficialmente danno la caccia ai terroristi vicini alle Corti islamiche, in fuga da gennaio. I superstiti raccontano invece un'altra storia. I militari armati dal presidente provvisorio, Abdullahi Yusuf del clan darod, da mesi non vedono un soldo. Alla fame, come la gente, aggrediscono e rapinano chi non confessa di sostenere la jihad. Chi ammette è giustiziato sul posto, quindi mutilato. Chi resiste viene decapitato. Membra umane sono state appese in una macelleria, come lezione collettiva. Centinaia le donne stuprate davanti ai parenti. Il primo ministro, Ali Gedi del clan hawiya, è stato costretto a dimettersi e a rifugiarsi in Kenya. La capitale torna nelle mani dei "signori della guerra", dei darod che garantiscono a Yusuf il controllo di porto e aeroporto: mezzo milione di dollari al giorno, in contanti. Sindaco e capo della polizia impongono il loro dazio a chi scappa. Per i bambini sotto i 12 anni la tariffa è doppia. I ribelli, non solo fondamentalisti, si preparano ad una lunga resistenza. Nel quartiere "Mar Nero", attorno al grande mercato e a Wahara Adde, si scavano trincee e cunicoli sotto le macerie. Dopo 14 conferenze di pace, a quasi un anno dall'invasione etiope e dai bombardamenti Usa, giustificati con la necessità di fermare l'avanzata di Al Qaida in Africa, la Somalia precipita in un massacro dominato dall'anarchia. Centinaia di conflitti coperti dal marchio globale di una guerra civile che dura da 17 anni: vendette tra clan, tribù e famiglie; lotte di potere tra generali e criminali che hanno spodestato Siad Barre; contese tra le bande che alimentano il più fiorente mercato africano di armi, droga e scorie nucleari; guerra santa dei fondamentalisti islamici, finanziati dal mondo arabo attraverso l'Eritrea; invasione colonialista dell'Etiopia, appoggiata dagli Usa per assicurarsi il controllo di petrolio e uranio; infine Somaliland e Puntland che reclamano indipendenza, l'irredentismo che riesplode nell'Ogaden, la resistenza nazionalista che spinge il nord contro il centro e questo contro il sud. In mezzo al caos, i caschi verdi dell'Unione africana. Avrebbero dovuto essere 8 mila. Meno di duemila ugandesi invecchiano assediati nelle caserme. Sabato notte i ribelli islamisti hanno obbedito all'appello di uno dei loro capi, Abu Mansur. Il quartiere generale di Mogadiscio è stato bombardato. Una capitale devastata attende l'ultimo atto della propria tragedia: l'esplosione degli attentati contro i contingenti stranieri, qui come ad Addis Abeba, o nel resto del Corno d'Africa. Per questo una folla sterminata, che aveva fin qui sopportato povertà e dolore come nessun altro, ora scappa. Vede che la criminalità rapace, l'indifferenza e l'idiozia della comunità internazionale, hanno sostituito il fondamentalismo degli islamisti, rinvigorito dall'intervento degli Usa. Il popolo in fuga non tenta solo di sottrarsi alla morte: non accetta di essere testimone passivo dalla propria autodistruzione, come un cuore sul fondo dell'abisso. Un fiume di scheletri neri, apatici e muti, emerge da quartieri isolati dal mondo. Nella capitale il cibo sta finendo e manca l'acqua potabile. I mercati, con la scusa di tagliare il sostegno popolare alle milizie shabaab, sono stati devastati e chiusi dall'esercito. Donne, bambini e vecchi scappano a piedi. I carretti, trainati da asini, sono colmi di materassi, stracci, pentole. Il racket dei miserabili vende posti su stipati pullmini, schiacciati dalla folla che si arrampica sui tetti. La popolazione si perde tra cammelli, capre, mucche, galline e cani, pure in fuga dalle esplosioni. Lungo i bordi dell'unica pista allagata, che collega Mogadiscio con il Sud, si affittano alberi per ripararsi dalla pioggia torrenziale. Le donne si fermano nelle pozzanghere per riempire di un liquido fangoso taniche gialle barattate con ciotole di riso. Si cucina, ci si lava, con la melma. Per accendere il fuoco i pochi maschi abbattono piante di cinnamomi e cespugli. Nei canali si ammassano le carcasse degli animali morti. Per mangiare si spara a branchi di scimmie grigie che, al tramonto, raggiungono la strada adescate con banane verdi. Bande di ragazzi si appropriano delle buche più profonde, le spianano e vi si stendono davanti. Chiedono cibo ai veicoli che scelgono di passarci sopra. I malati, oltrepassata la piazza K7 (sigla che indica la distanza dal centro di Mogadiscio), si fermano appena possono. Verso Lafole, i pozzi di Elasha e fino ad Afgoy, una distesa compatta di ramaglie, coperte con vestiti consumati e letame, protegge i reduci dagli orrori. Cinquanta, forse centomila ripari pieni di fori. Non si muore solo per l'assenza di cibo, o avvelenati dall'acqua infetta. Fanno strage la malaria, il colera, la tubercolosi e la bilarziosi. Non esistono latrine. Centinaia i feriti da proiettili vaganti, schegge, mine. Makagedi Wasuge è stata centrata alla gola mentre fuggiva con il figlio in abbraccio. Era nato da sei giorni. Lo ha perduto e chiede agli amici di ucciderla. Poche, generiche, le medicine. Nei campi di rifugiati a Lafole, Alabaray e all'Università di Agricoltura, opera un solo medico. Abdulrahman Abdi Haline, ortopedico, distribuisce sedativi a quasi ottantamila persone. Ne ha poche scatole, manda i vecchi a raccogliere certe erbe tra le dune. Ribelli vicini alle Corti islamiche e giovani insorti vengono curati clandestinamente. La massa è corrosa dall'odio contro l'Etiopia e contro "un governo agli ordini di Bush" che non controlla più nemmeno Villa Somalia, la propria sede dopo l'originaria a Baidoa. Fadumo, un anno fa, avrebbe impiccato chi le aveva imposto il velo integrale e chiuso caffè, cinema, radio e discoteche. Da questa mattina è volontaria tra i giacigli degli insorti. Fascia le ferite di chi, nel nome di Allah, le ha sgozzato il padre e un fratello. Tra la capitale e Afgoy la tendopoli misura ormai cinquanta chilometri. Negli ultimi dieci giorni i fuggiti all'inferno di Mogadiscio sono stati oltre 250 mila. Mezzo milione da gennaio, un milione negli ultimi due anni. Un milione di esseri umani che hanno perso tutto, privi di un luogo dove vivere. Da fine ottobre i civili uccisi sono circa 500, duemila i feriti. Quattromila le vittime della guerra nel 2007, oltre 10 mila i feriti. Solo in novembre, ogni giorno, a Mogadiscio sono morti 25 abitanti. Quasi sempre madri con i figli. Si avvicinano ai mercati in cerca di cibo, vengono freddati dai cecchini. Ieri sera è capitato anche a Madina Elmi, famosa come "general". Ai tempi di Aidid era la donna dei "signori della guerra" che taglieggiavano gli innocenti. Pentita, ha dedicato la vita alla pace. È stata colpita alla schiena mentre distribuiva pomodori agli orfani, ammassati poco fuori città. "Se la comunità internazionale non si sbriga - dice Tahlil Mahamud - tra un mese non avremo più sabbia per seppellire i cadaveri". È il capo di 2200 rifugiati, nascosti tra i cespugli che la stagione delle piogge fa rifiorire di giallo in un deserto rosso. Nelle ultime due settimane le 422 famiglie del suo clan hanno ricevuto 5 chili di riso e 10 di mais. I convogli umanitari sono al centro di un fuoco incrociato. L'esercito governativo li blocca per impedire i rifornimenti di cibo agli insorti. I fuggitivi li assaltano per una manciata di farina. I ribelli li rapinano per barattare cibo con armi. Sospesa tra guerra santa, conflitto civile, battaglia tribale e insurrezione patriottica, la Somalia è sconvolta dal compimento della più temuta catastrofe umanitaria del mondo. Il futuro, la prevedibilità degli eventi, si estendono ad un paio di ore. "Non vogliamo il ritorno delle Corti islamiche - dice il vecchio Sheikh Osman Hamsow-Abd vicino alla moschea di Al Idayha, nella capitale - ma i responsabili di questa carneficina se ne devono andare". Nelle ultime ore gli sfollati sono sempre più deboli. Mogadiscio si svuota. Per accorciare la marcia i più vecchi passano dalla spiaggia affacciata sull'oceano indiano. Camminano fino a Merca, cento chilometri a sud. Questa notte tre anziani sono morti sulla riva. I corpi, secchi come conchiglie spezzate, giacciono accanto ad una scuola mobile, allestita sotto una tenda per i figli dei rifugiati. I bambini, accanto, continuano a giocare a pallone prendendo a calci una sfera di alghe. In una capanna, costruita con i carapaci delle testuggini giganti, è riunita la "polizia". Affitta scorte alle organizzazioni non governative che tentano di fronteggiare l'emergenza. Ora stanno concordando le tariffe, come fossero taxi. Ma la polizia, in Somalia, non esiste. Milizie claniche controllano porzioni di territorio. Se cambia la zona, cambia la scorta, composta da poveracci alla fame, in ciabatte, con il kalashnikov in mano. Tutto dipende da chi possiede più armi. Un terrorista delle Corti può finire a spalleggiare un "signore della guerra", passando dai ribelli all'esercito governativo, o viceversa. Si cambia casacca per una cesta di manghi, nessuno ci bada. Al riparo dei gusci di tartaruga i capi attendono l'annuncio del nome del nuovo primo ministro. Sarà un hawiya, Nur Hassan Hussein, della famiglia Abgal. Domani decideranno a chi passa la sicurezza e chi tocca fuggire. "Per parlare di riconciliazione - dice il sultano Moaim Adnan Osman - è necessario che un nuovo governo dialoghi con l'opposizione, coinvolgendo tutti i clan, aprendo ai moderati delle Corti islamiche ed emarginando i fondamentalisti. Gli invasori etiopici, i loro amici della Cia, se ne devono andare, consentendo l'invio delle forze di pace africane delle Nazioni Unite. Solo così, con il sostegno di Unione europea e Lega araba, potremo arrivare al disarmo, all'elezione di istituzioni autorevoli e alla ricostruzione del Paese". Sembra un sogno, tutti lo raccontano come automi, nessuno ci crede. Chiudere i mercati e il porto di Mogadiscio significa scegliere di annientare la propria gente. Sparare sulla folla in fuga vuol dire rendere insuperabile l'odio tra Somalia ed Etiopia, tra mondo islamico e Occidente. Hassan Mursal lo sa. Per questo ieri mattina è partito. Ha un bastone, un camicione bianco e rigido come fosse di calce. Ad Afgoy dice di cercare la famiglia di suo fratello, scomparsa da aprile. Perché è rimasto solo, perché va verso sud, dove pensa di arrivare digiuno e a piedi scalzi, cosa deve annunciare ai nipoti? Non risponde alle domande. Alza le spalle, come andasse di fretta ad un appuntamento. Tutti, qui, capiscono che saranno i loro corpi, la loro carne, a dare infine un senso fisico all'essenza del destino. Dietro ad Hassan inizia a muoversi un popolo. Non sa dove andare: ma forse, scappando in massa dall'orrore, protestando con il sacrificio estremo di se stesso, rifiutandosi di morire, sta trovando la sua strada.
 
www.repubblica.it – 23.11.07


LETTERA APERTA DAL PRESIDIO "NO DAL MOLIN": SE NON ORA, QUANDO?

 Non lo nascondiamo: siamo dei sognatori; vorremmo impedire alla più grande potenza militare mondiale di mettere casa nel nostro cortile. E’ vero, siamo anche un pò testardi; ce lo hanno detto in tutte le salse: «cari vicentini, mettetevela via, gli interessi della guerra saranno più forti dei vostri presidi». Pazzi? Può darsi: del resto, chi avrebbe montato un Festival-campeggio di 10 giorni?
 
Eppure, siamo ancora qui. In questi giorni raddoppiamo il nostro Presidio Permanente; tutto intorno, un silenzio assordante, fatto di quotidiani e telegiornali che, dopo aver assediato Vicenza in concomitanza con il grande corteo del 17 febbraio, ora non hanno più nulla da dire su un movimento che ha continuato a vivere di passione e determinazione. Un movimento che si esprime tra e con la gente di Vicenza, attraverso iniziative e manifestazioni continue: abbiamo tagliato i cavidotti funzionali alla nuova base Usa, occupato la Basilica Palladiana, piantato 150 alberi all’interno del Dal Molin; abbiamo bloccato, per tre giorni e tre notti, le bonifiche belliche – iniziate un mese fa – necessarie per iniziare la costruzione dell’installazione militare, e le donne del Presidio, sono andate a Firenze per boicottare l’ABC – azienda incaricata delle bonifiche – e proseguire la campagna dei blocchi.
 
Con i primi blocchi dei lavori abbiamo imparato, ancor di più, ad essere una comunità; e abbiamo sentito, da tante parti d’Italia, la solidarietà e la condivisione che tante donne e tanti uomini esprimono per la lotta vicentina.
Abbiamo chiesto, anche, che i 170 Parlamentari che si sono dichiarati contrari alla realizzazione della nuova base Usa mantengano la propria promessa: portare subito in Parlamento la moratoria sui lavori in attesa dello svolgimento della Seconda Conferenza sulle servitù militari e chiedere la desecretazione degli accordi militari bilaterali.
Questo, ad oggi, non è avvenuto: abbiamo già visto il Governo promettere di ascoltare la comunità vicentina e poi tradirla: c’è qualcuno che vuol seguire il solco tracciato da Prodi? Non portare subito in Parlamento la moratoria, infatti, significa comportarsi nello stesso modo del Presidente del Consiglio che, dopo aver promesso di voler considerare la vicenda alla luce della volontà della comunità locale, dichiarò dall’estero di non opporsi alle richieste statunitensi svendendo la nostra città.
 
Lo scorso 17 febbraio, insieme, abbiamo dimostrato quanto grande è il movimento che vuol battersi contro la guerra e la militarizzazione del territorio, per la difesa della terra e la costruzione di nuove pratiche di democrazia; ma Vicenza, da sola, è insufficiente a sostenere questa lotta che, pure, accomuna gran parte della popolazione locale: Vicenza è solo un villaggio nella grande comunità che crede in un altro mondo possibile. Abbiamo bisogno, ancora una volta, della vostra condivisione, della vostra partecipazione, della vostra solidarietà.
 
Abbiamo convocato, a dicembre, una tre giorni europea di confronto, contaminazione, approfondimento; vogliamo allargare i nostri orizzonti, conoscere nuove comunità, condividere altre lotte. Ma vogliamo, anche, dimostrare che la vicenda del Dal Molin è ancora aperta: per questo il 15 dicembre un grande corteo attraverserà le strade della nostra città. Abbiamo sempre detto che “se si sogna da soli è solo un sogno, se si sogna insieme è la realtà che comincia”: vi chiediamo di condividere il nostro sogno, ancora una volta, perché una terra senza basi di guerra possa diventare realtà.
 
Se non ora, quando? Vicenza chiama, ancora una volta: e noi siamo sicuri che risponderete in tanti. Perché Vicenza vive già al di fuori dei suoi confini.


Perchè Dario Fo sia un genio compreso (Grazia Gargantua, Lara e Francy!)

Dario Fo: una personalità che coniuga leggerezza e profondità con umanità e talento, rara intelligenza e sensibilità con una creatività geniale, arricchita da una formidabile forza artistica e comunicativa.
Duole costatare la scarsa attenzione che le Istituzioni del nostro Paese hanno sempre rivolto a una tale personalità di indiscussa e assoluta eccellenza.
Attenzioni e riconoscimenti alle straordinarie qualità umane, creative e artistiche di Dario Fo sono invece giunti abbondantemente dall’estero:
Premio Nobel per la letteratura 1997;
Settimo posto nella classifica pubblicata dal Daily Telegraph fra i cento geni viventi (unico Italiano), secondo i parametri di popolarità, cultura, potere intellettuale, realizzazione professionale e capacità di impatto e innovazione in un determinato settore;
Premio Sonning conferitogli dall'Università di Copenaghen;
Premio Obie- Oscar del teatro Off di Broadway;
Laurea ad honorem in lettere conferitagli dall`Università di Westminster (Regno Unito);
Diploma conferitogli da L`école Askeby di Rinkeby, Stoccolma (Svezia) per la sua creatività e la gioia di vivere che con il suo teatro trasmette;
Premio Molière- Oscar del teatro francese, per la sua opera di drammaturgo e attore di teatro;
Riconoscimento dalla città di Montpelleir;
Laurea Honoris Causa dall'Università di Bruxelles;
Titolo di Membro Onorario dell'Accademia di Arti e Scienze del Massachusetts;
Laurea Honoris Causa dalla Sorbonne Nouvelle Paris III.
Riconoscimenti al valore del suo lavoro sono arrivati parimenti dal pubblico di tutti i Paesi dove sono rappresentate le sue opere (solo per citarne alcuni: Argentina, Armenia, Australia, Brasile, Bielorussia, Colombia, Cile, Danimarca, Georgia, Sri Lanka, USA, Uruguay, Yemen): Dario Fo, insieme a Franca Rame, è l'autore vivente più rappresentato al mondo.
Questo sta ad indicare chiaramente l’universalità di un linguaggio comunicativo che sa raggiungere l’umanità più varia, toccando temi che coinvolgono l’essere ad ogni latitudine.
Non facciamo che questo Paese mostri di non accorgersi dell’inestimabile valore che una personalità come Dario Fo rappresenta per l’arte, per il teatro, per la cultura. E, non ultimo, per l’impegno umano e sociale dimostrato da tutta la vita: fondazione del Comitato Nobel per i disabili, "Miracolo a Milano", "Palazzina Liberty", "Soccorso Rosso", impegno sul problema della manipolazione genetica, promozione del referendum "Aria Pulita", difesa dei più deboli e dei diritti fondamentali dell'uomo.
Essere connazionali di uomini come Dario è una fortuna e dovrebbe essere fonte di orgoglio per tutti.
Per questo proponiamo che si faccia richiesta al Presidente Napolitano affinché non trascuri l'occasione per rendere merito a questo nostro genio, ed allo stesso tempo al Paese. Mostreremmo a noi stessi e al mondo che sappiamo riconoscere i nostri aspetti migliori.


INTERVENTO DI FRANCA RAME SUL DECRETO SICUREZZA

Una donna, Francesca Reggiani, è stata violentata e uccisa a Roma. L’omicida è sicuramente un uomo, forse un rumeno. 
Il giorno precedente, sempre a Roma, una donna rumena è stata  violentata e ridotta in fin di vita da un uomo.
Due vittime con pari dignità?
La stampa internazionale, a sèguito dell’emanazione del decreto SULLA SICUREZZA è uscita con titoli allarmistici:
Liberation: Rumeni cacciati dall’Italia: il decreto di espulsione adottato con urgenza, per calmare le polemiche dopo l’assassinio di Francesca Reggiani. 
Su L’Independent, foto con alcuni Rom cacciati da Roma e un grande titolo: “Espulsi! Banditi!”.  Stiamo entrando in una nuova era di intolleranza in Europa?  Financial times: l’Italia espelle i rumeni.
Le Monde: Romfobia.
Odio e sospetto alimentano giudizi assai facili:
Da stranieri a rumeni, da rumeni a rom, da rom a ladri, assassini o molestatori, il passo è breve.  
Omicidi e reati sono, oggi, ai livelli più bassi degli ultimi vent’anni, mentre sono in forte crescita i reati commessi in famiglia o per ragioni passionali.
il rapporto Eures-Ansa 2005, L'omicidio volontario in Italia e l’indagine Istat 2007 dicono che un omicidio su quattro avviene in casa;
sette volte su dieci la vittima è una donna;
più di un terzo delle donne dai 14 anni in su ha subito violenza nel corso della propria vita, e il responsabile, sette volte su dieci è il padre, il marito o il convivente: “la famiglia uccide più della mafia, le strade sono spesso molto meno a rischio-stupro delle camere da letto”. Come scrive Ida Dominijanni sul manifesto: “l’assassino ha spesso le chiavi di casa”.
L’adesione della Romania all’UE ha suscitato molte inquietudini in Europa occidentale, buona parte dei rumeni emigrati si sono trasferiti in Spagna e in Italia, sono arrivate 537.000 persone delle minoranze Rom, Tzigana e Sinti.
Secondo i leader della comunità rom, un milione e mezzo di persone sono emigrate per fuggire alla discriminazione subita in patria. Certo in Italia si trovano a vivere di espedienti che a volte finiscono per diventare azioni criminose, ed è dunque giusto che il Governo abbia per obiettivo la sicurezza della cittadinanza e per queste è doveroso porre rimedio con il totale rispetto delle norme vigenti.
Ma non dimentichiamo che la colpevolizzazione di un’etnia è stata storicamente il primo passo per giustificare un genocidio, e che  la sicurezza è garantita dalla cultura della legalità e dalla certezza del diritto e della pena, senza però negare accoglienza, solidarietà e tutela dei diritti umani.


Sabina Guzzanti scrive a Petruccioli

Cari Amici,

qualche giorno fa Claudio Petruccioli ha scritto a Sabina Guzzanti una lettera, in risposta alle sue dichiarazioni su Annozero, riguardanti l'editto bulgaro e il ruolo che allora rivestiva quale  presidente della vigilanza RAI.

Mi fa molto piacere pubblicare la risposta della mia bravissima amica Sabina.

 

 Caro Petruccioli,
 
innanzi tutto grazie per avermi scritto, perché dopo tutto quello che è successo questo è il primo segnale che arriva dalla Rai da quel 16 novembre 2003 in cui il mio programma è stato soppresso per ragioni politiche. E’ una strana coincidenza che questa sua lettera arrivi proprio il giorno in cui sono state pubblicate le intercettazioni telefoniche che confermano quello che già sapevamo e di cui si parlava in Raiot. Lo sa che avevo registrato anche una parodia della Bergamini sull’ingerenza di mediaset in rai che ho poi tagliato pensando che potesse essere esagerata? E’ proprio vero che la satira non riesce mai per quanto “cattiva” a rappresentare il livello di perversione di chi è al potere.
 
Per quanto riguarda le sue contestazioni al mio intervento da Santoro, capisco la sua frustrazione nell’essere annoverato tra i corresponsabili delle censure brutali che tutti noi abbiamo subito sotto Berlusconi, ma purtroppo lei era Presidente della vigilanza e qualche responsabilità purtroppo le tocca.
Lei attribuisce il fatto che io l’abbia inclusa nell’elenco dei complici di quelle censure a un inspiegabile fortissima antipatia che avrei nei suoi confronti. Perché dovrei odiarla infatti? Ci siamo mai frequentati? Mi ha mai rovesciato addosso del caffé bollente? E’ mai stato ospite a casa mia e fracassato il servizio di piatti di mia nonna? Mi è mai passato davanti alla fila della posta? Mi ha mai superato a sinistra facendo le corna? Non ci sono né questi, né altri motivi di antipatia possibili che io possa avere per lei. Ci siamo incontrati in una sola occasione: quando lei convocò me e Terenzio, il produttore del programma, per ascoltare le nostre ragioni a seguito della sospensione del programma Raiot. In quell’occasione lei disse che il programma non era di suo gradimento, ma che si trattava di una censura politica e che non avrebbe mai permesso che sotto la sua presidenza si consumasse un simile abuso. Piuttosto avrebbe dato le dimissioni. Poi l’abuso si è consumato e le dimissioni lei non le ha date. Né ha fatto nessun gesto adeguato alle circostanze come portare il caso ai presidenti delle Camere, come suggeriva ad esempio l’on. Giulietti. Ha fatto dei discorsi, sia per il mio caso che per quelli di Biagi, Santoro e gli altri. E questi discorsi me li ha mandati gentilmente insieme alla sua lettera. Ebbene io come tanti altri, non riteniamo che fare dei discorsi sia stato un gesto adeguato alle circostanze. Questo è il motivo del dissenso, non l’antipatia.
 
Lei dice che aveva le mani legate dal momento che è stato sottoscritto un accordo tra la produzione e Cattaneo. Ma l’accordo è stato firmato pochi giorni prima che il contratto scadesse e quando era ormai chiaro che nessuno avrebbe fatto nulla. Le proposte che arrivavano dalla Rai erano assolutamente inaccettabili e implicavano una sottomissione alla censura costante. Registrare, fare visionare, aspettare di sapere SE il mio lavoro poteva andare in onda. Lei questo lo sapeva. Sapeva pure che la produzione se non avesse firmato sarebbe risultata inadempiente nei confronti della Rai e oltre al danno subito avrebbe dovuto pagare probabilmente una penale. Sapeva pure che quell’accordo io non l’ho mai firmato e che quindi non c’era nessun consenso da parte mia a quella soluzione.
 
Quando poi è diventato Presidente della Rai ha forse voluto dare un segnale di cambiamento forte rispetto a quanto era accaduto? Si vanta del fatto che Biagi e Santoro siano tornati, ma Santoro è in tv solo e soltanto grazie alle sentenze dei tribunali e Biagi, che tutti sapevamo in fin di vita, è tornato alle 23.30 su Rai 3, perché non voleva avere a che fare con i suoi persecutori, tutti rimasti impuniti e contenti su Rai1. Luttazzi è sulla 7 e per quanto mi riguarda la lettera che mi ha scritto è l’unico segnale che abbia ricevuto dalla Rai da quattro anni a questa parte, nonostante il tribunale mi abbia dato ragione, nonostante lo scandalo condannato da tutto il mondo. Se come si evince dai suoi interventi in parlamento, lei è nemico della censura, come mai non sono tornata in tv?
 Domanda semplice, probabilmente demagogica, populista, volta a istigare il terrorismo e la violenza negli stadi, domanda antipolitica, qualunquista, prodotta da una mente manichea, che parla solo alla pancia della gente, allo scopo di convogliare lo scontento popolare che non riesce a esprimersi per mancanza di mezzi culturali, se non nel linciaggio pubblico di capri espiatori che vengono presi di mira a casaccio, a capriccio di quei due o tre capipopolo pericolosissimi che con le loro capacità istrioniche si sono conquistati la fiducia delle masse che poi masse non sono perché la maggioranza della gente se ne sta zitta a casa e sono loro quelli che stanno zitti i veri interlocutori della politica, quelli i cui interessi vanno difesi.
Come mai nessuno di quelli che hanno alzato la testa è tornato al suo posto? Nemmeno Daniela Tagliafico, per dire, che dopo avere dato le dimissioni non ha detto una parola, non ha partecipato a una manifestazione, come mai non è tornata al Tg1, ne sa qualcosa lei?
 
In un regime di democrazia non si fanno compromessi con la censura e se si fanno non sono di questa portata e se vengono scoperti si chiede scusa e si pone rimedio.
 
Io credo che lei tenga moltissimo a questo suo incarico che forse coincide con il sogno della sua vita. Un compito che la fa sentire utile e soddisfatto. Credo che lei percepisca le mie parole come parte di un complotto per sottrarle quello che da anni ha faticosamente costruito.
Magari si domanda chi mi manda, per conto di chi agisco.
Probabilmente pensa che fa questo lavoro meglio di quanto non l’abbiano fatto altri e pensa che anche questa idea che i politici debbano smettere di controllare la televisione venga tirata in ballo per fare fuori lei, che tra l’altro questa cosa la dice da tanto tempo. Che lei rischia d’essere uno dei pochi fessi che vengono tirati in ballo, ma che venderà cara la pelle.
Vede che mi so mettere nei suoi panni, che è uno sforzo che riesco a fare. Che ne direbbe di fare un passo successivo, in nome del dialogo e di quello che la politica dovrebbe essere? Non vede ad esempio che questi argomenti che mi sono permessa di attribuirle anche perché in parte sono proprio i suoi, sono gli argomenti di tutti quelli nella sua posizione? Che chiunque venga criticato, inquisito, colto in fallo, si difende in questo modo? Può essere anche una difesa che ha le sue ragioni, ma d’altra parte se nessuno può essere chiamato a rispondere delle sue azioni, come si esce da questo pantano?
 
Quelli come me che non hanno niente da perdere e hanno un po’ di potere sono pochi, pochi. Non credo che si debba sentire minacciato da mezza parola di verità in un mondo in cui la verità proprio non conta.
D’altra parte un posto come il suo è difficile da conservare comunque. Se per caso decidesse di operare nel rispetto dei principi che tutti a chiacchiere condividiamo, le do la mia parola che spenderei tutte le mie parole, per farle i complimenti e celebrarla in ogni occasione. Nessun pregiudizio nessuna antipatia, anzi come ho avuto modo di dire più volte a proposito della sua intervista in Viva Zapatero!, lei nel su genere, mi sembra un uomo molto buffo, anche se vedo bene che possa essere all’occorrenza sleale e cattivo.
 
 
Mi scrive che intende pubblicizzare la sua lettera, se non ha nulla in contrario la pubblicherei intanto sul mio blog.

E’ POSSIBILE NON PROTEGGERE I BAMBINI? comunicato stampa del CISMAI

                        
Coordinamento Italiano dei Servizi contro il Maltrattamento e l'Abuso all'Infanzia

 www.cismai.org
16 novembre 2007  

In questi giorni a Napoli le strutture che accolgono i bambini e gli adolescenti allontanati dalle loro famiglie hanno annunciato  le dimissioni dei minori: a partire da 1 dicembre

La situazione è determinata dal fatto che da 18 mesi non pervengono i pagamenti da parte del Comune che a sua volta non riceve i dovuti trasferimenti dal Governo da 11 mesi.
 

Appare come se a nessun livello la tutela dei minori venisse considerata una priorità strategica.
 
La situazione è divenuta allarmante e vogliamo sottoporre all'opinione pubblica e soprattutto al Governo l'urgenza di intervenire sulla questione per la tutela dei bambini e delle bambine vittime di violenza.
Parliamo di quei bambini per i quali è stato necessario l’inserimento in comunità per proteggerli da condizioni di gravissimo maltrattamento ed abusi sessuali subiti all'interno dei nuclei familiari, così grave da rendere difficile anche la possibilità di un affido familiare.
In queste settimane ci sono diversi bambini ed adolescenti che non trovano accoglimento in comunità pur vivendo in situazioni di grave pericolo: chi li protegge?
La imminente dimissione precoce di 1000 bambini senza una rete di protezione ed accompagnamento rappresenta - in prospettiva - un danno irreparabile per la loro evoluzione, davvero imperdonabile: chi li protegge? La violenza all'infanzia e' un crimine contro l'umanità.
La chiusura delle comunità rappresenta il fallimento  della protezione attivata:
- rigetta i bambini e gli adolescenti  in bocca al lupo, facendoli rientrare in situazioni ancora pericolose per l’integrità fisica e mentale, senza garanzie ed accompagnamento, in quanto anche i servizi educativi territoriali e domiciliari(gestiti sempre dal Terzo settore) stanno sospendendo la loro offerta, a causa dei gravi ritardi nei pagamenti;
- produce una nuova vittimizzazione: la dimissione diventa un tradimento da parte di coloro di cui i piccoli si sono fidati:molte ragazze e ragazzi chiedono in questi giorni agli educatori “Che fine farò?”. Sappiamo che ciò oltre a configurarsi come maltrattamento istituzionale rappresenta un danno grave alla possibilità di sviluppare fiducia ed attaccamento;
- vanifica il lavoro di cura psicologica, sociale, educativa , sanitaria portato avanti per ciascuno di loro, a partire dalla costruzione di un contesto sicuro.
Come operatori impegnati nella tutela e nella cura dei bambini segnaliamo l'estrema gravità di questa situazione ed il fallimento di tutti gli interventi attivati
Chiediamo pertanto un tempestivo intervento sul Governo, per rimediare non solo all’urgente situazione verificatasi ma a costruire soluzioni che ripristino stabilità: la gravita' del danno per la chiusura delle comunità e' paragonabile ad una catastrofe. La protezione dei bambini e delle bambine dalla violenza una priorità ineludibile in un Paese civile


lo stupro e la diffamazione - storie di ordinaria violenza

A settembre dell’anno scorso una ragazza, dopo aver denunciato la violenza subita, mandava al TG1 una lettera in cui esortava tutte le donne a ribellarsi allo stupro, ma anche all’omertà e al pregiudizio.
Nei quattordici mesi seguiti alla denuncia, la coraggiosa ragazza è stata fatta oggetto di una persecutoria campagna di diffamazione su internet: “zoccola di merda”, “puttana”, “psicopatica”, “squilibrata”, “bestia sanguinaria” “cretina” “stronza” sono soltanto alcuni degli epiteti che le hanno rivolto gli amici degli imputati, entrambi trattenuti dal GIP agli arresti domiciliari per i gravissimi indizi a carico.
 
Infine, i bloggisti sono giunti persino a mettere in linea il nome della madre della ragazza, in spregio alla legge che garantisce l’anonimato alla vittima proprio per salvaguardarne l’incolumità.
 
Il messaggio è chiaro: la donna che trova il coraggio di denunciare, che si ribella al sopruso, che rivendica i suoi diritti va offesa, ingiuriata, colpita, calunniata, spaventata e intimidita. Per nessuna ragione il suo esempio deve far scuola!  
 
Alla vittima stanno pervenendo espressioni di solidarietà da tutta Italia. Alle 9 di mattina del 27 di novembre, alla Procura di Bologna, in Via Trento Trieste 3, si svolgerà il processo col rito abbreviato. Vari presidi di cittadini e cittadine attenderanno in silenzio la sospirata sentenza a Bologna, a Cagliari e in altre città. 
 
La lettera della ragazza letta l’anno scorso al TG1
In questi giorni avrei voluto disperatamente seppellire quello che mi è successo.
Invece sono uscita alla luce del sole appena mi reggevo in piedi, portando a spesso il mio naso gonfio e gli occhi pesti, senza occhiali, senza trucco per nascondere i lividi. Ho sopportato di leggere sui giornali che, a dispetto dei pugni, ero “consenziente”. Ho deciso di combattere perché non dobbiamo nasconderci, vergognarci e sentirci in colpa. L’ho fatto perché non si ripetesse quello che ho subito. L’ho fatto perché non si parli solo di aggressioni di sconosciuti e stranieri quando moltissime volte sono connazionali, conoscenti e “amici” di cui ci fidiamo ad approfittare di noi e in questi casi è ancora più difficile trovare il coraggio di sporgere denuncia. Anch’io ho avuto paura e ne ho ancora tanta, ma ho reagito. Ribellatevi, non soltanto agli stupratori, ma anche ai pregiudizi, alle molestie, alle violenze, alle sopraffazioni, lottate con le unghie e con i denti, con tutta la vostra forza fisica e morale.
Ringrazio la polizia, i medici e gli infermieri per la loro sensibilità e delicatezza, il centro delle donne e i magnifici amici che mi sostengo con affetto e amore. Chiedo gentilmente a tutti: non offritemi la vostra pietà, concedetemi la vostra stima.
 
 
Perché abbiano fine storie come questa, riproponiamo un testo  coinvolgente e  sconvolgente di Franca Rame.
 
Lo stupro 
Il    Al centro dello spazio scenico vuoto, una sedia.
    prologo
 
FRANCA: Ancora oggi, proprio per l’imbecille mentalità corrente, una donna convince veramente di aver subito violenza carnale contro la sua volontà, se ha la “fortuna” di presentarsi alle autorità competenti pestata e sanguinante, se si presenta morta è meglio! Un cadavere con segni di stupro e sevizie dà più garanzie. Nell’ultima settimana sono arrivate al tribunale di Roma sette denunce di violenza carnale.
     Studentesse aggredite mentre andavano a scuola, un’ammalata aggredita in ospedale, mogli separate sopraffatte dai mariti, certi dei loro buoni diritti. Ma il fatto più osceno è il rito terroristico a cui poliziotti, medici, giudici, avvocati di parte avversa sottopongono una donna, vittima di stupro, quando questa si presenta nei luoghi competenti per chiedere giustizia, con l’illusione di poterla ottenere. Questa che vi leggo è la trascrizione del verbale di un interrogatorio durante un processo per stupro, è tutto un lurido e sghignazzante rito di dileggio.
MEDICO: Dica, signorina, o signora, durante l’aggressione lei ha provato solo disgusto o anche un certo piacere... una inconscia soddisfazione?
POLIZIOTTO: Non s’è sentita lusingata che tanti uomini, quattro mi pare, tutti insieme, la desiderassero tanto, con così dura passione?
GIUDICE: È rimasta sempre passiva o ad un certo punto ha partecipato?
MEDICO: Si è sentita eccitata? Coinvolta?
AVVOCATO DIFENSORE DEGLI STUPRATORI: Si è sentita umida?
GIUDICE: Non ha pensato che i suoi gemiti, dovuti certo alla sofferenza, potessero essere fraintesi come espressioni di godimento?
POLIZIOTTO: Lei ha goduto?
MEDICO: Ha raggiunto l’orgasmo?
AVVOCATO: Se sì, quante volte?
 
     Il brano che ora reciterò è stato ricavato da una testimonianza apparsa sul “Quotidiano Donna”, testimonianza che vi riporto testualmente.
 
     Si siede sull’unica sedia posta nel centro del palcoscenico.
 
FRANCA: C’è una radio che suona... ma solo dopo un po’ la sento. Solo dopo un po’ mi rendo conto che c’è qualcuno che canta. Sì, è una radio. Musica leggera: cielo stelle cuore amore... amore...
     Ho un ginocchio, uno solo, piantato nella schiena... come se chi mi sta dietro tenesse l’altro appoggiato per terra... con le mani tiene le mie, forte, girandomele all’incontrario. La sinistra in particolare.
     Non so perché, mi ritrovo a pensare che forse è mancino. Non sto capendo niente di quello che mi sta capitando.
     Ho lo sgomento addosso di chi sta per perdere il cervello, la voce... la parola. Prendo coscienza delle cose, con incredibile lentezza... Dio che confusione! Come sono salìta su questo camioncino? Ho alzato le gambe io, una dopo l’altra dietro la loro spinta o mi hanno caricata loro, sollevandomi di peso?
     Non lo so.
     È il cuore, che mi sbatte così forte contro le costole, ad impedirmi di ragionare... è il male alla mano sinistra, che sta diventando davvero insopportabile. Perché me la storcono tanto? Io non tento nessun movimento. Sono come congelata.
     Ora, quello che mi sta dietro non tiene più il suo ginocchio contro la mia schiena... s’è seduto comodo... e mi tiene tra le sue gambe... fortemente... dal di dietro... come si faceva anni fa, quando si toglievano le tonsille ai bambini.
     L’immagine che mi viene in mente è quella. Perché mi stringono tanto? Io non mi muovo, non urlo, sono senza voce. Non capisco cosa mi stia capitando. La radio canta, neanche tanto forte. Perché la musica? Perché l’abbassano? Forse è perché non grido.
     Oltre a quello che mi tiene, ce ne sono altri tre. Li guardo: non c’è molta luce... né gran spazio... forse è per questo che mi tengono semidistesa. Li sento calmi. Sicurissimi. Che fanno? Si stanno accendendo una sigaretta.
     Fumano? Adesso? Perché mi tengono così e fumano?
     Sta per succedere qualche cosa, lo sento... Respiro a fondo... due, tre volte. Non, non mi snebbio... Ho solo paura...
     Ora uno mi si avvicina, un altro si accuccia alla mia destra, l’altro a sinistra. Vedo il rosso delle sigarette. Stanno aspirando profondamente.
     Sono vicinissimi.
     Sì, sta per succedere qualche cosa... lo sento.
     Quello che mi tiene da dietro, tende tutti i muscoli... li sento intorno al mio corpo. Non ha aumentato la stretta, ha solo teso i muscoli, come ad essere pronto a tenermi più ferma. Il primo che si era mosso, mi si mette tra le gambe... in ginocchio... divaricandomele. È un movimento preciso, che pare concordato con quello che mi tiene da dietro, perché subito i suoi piedi si mettono sopra ai miei a bloccarmi.
     Io ho su i pantaloni. Perché mi aprono le gambe con su i pantaloni? Mi sento peggio che se fossi nuda!
     Da questa sensazione mi distrae un qualche cosa che subito non individuo... un calore, prima tenue e poi più forte, fino a diventare insopportabile, sul seno sinistro.
     Una punta di bruciore. Le sigarette... sopra al golf fino ad arrivare alla pelle.
     Mi scopro a pensare cosa dovrebbe fare una persona in queste condizioni. Io non riesco a fare niente, né a parlare né a piangere... Mi sento come proiettata fuori, affacciata a una finestra, costretta a guardare qualche cosa di orribile.
     Quello accucciato alla mia destra accende le sigarette, fa due tiri e poi le passa a quello che mi sta tra le gambe. Si consumano presto.
     Il puzzo della lana bruciata deve disturbare i quattro: con una lametta mi tagliano il golf, davanti, per il lungo... mi tagliano anche il reggiseno... mi tagliano anche la pelle in superficie. Nella perizia medica misureranno ventun centimetri. Quello che mi sta tra le gambe, in ginocchio, mi prende i seni a piene mani, le sento gelide sopra le bruciature...
     Ora... mi aprono la cerniera dei pantaloni e tutti si dànno da fare per spogliarmi: una scarpa sola, una gamba sola.
     Quello che mi tiene da dietro si sta eccitando, sento che si struscia contro la mia schiena.
     Ora quello che mi sta tra le gambe mi entra dentro. Mi viene da vomitare.
     Devo stare calma, calma.
     “Muoviti, puttana. Fammi godere”. Io mi concentro sulle parole delle canzoni; il cuore mi si sta spaccando, non voglio uscire dalla confusione che ho. Non voglio capire. Non capisco nessuna parola... non conosco nessuna lingua. Altra sigaretta.
     “Muoviti puttana fammi godere”.
     Sono di pietra.
     Ora è il turno del secondo... i suoi colpi sono ancora più decisi. Sento un gran male.
     “Muoviti puttana fammi godere”.
     La lametta che è servita per tagliarmi il golf mi passa più volte sulla faccia. Non sento se mi taglia o no.
     “Muoviti, puttana. Fammi godere”.
     Il sangue mi cola dalle guance alle orecchie.
     È il turno del terzo. È orribile sentirti godere dentro, delle bestie schifose.
     “Sto morendo, – riesco a dire, – sono ammalata di cuore”.
     Ci credono, non ci credono, si litigano.
     “Facciamola scendere. No... sì...” Vola un ceffone tra di loro. Mi schiacciano una sigaretta sul collo, qui, tanto da spegnerla. Ecco, lì, credo di essere finalmente svenuta.
     Poi sento che mi muovono. Quello che mi teneva da dietro mi riveste con movimenti precisi. Mi riveste lui, io servo a poco. Si lamenta come un bambino perché è l’unico che non abbia fatto l’amore... pardon... l’unico, che non si sia aperto i pantaloni, ma sento la sua fretta, la sua paura. Non sa come metterla col golf tagliato, mi infila i due lembi nei pantaloni. Il camioncino si ferma per il tempo di farmi scendere... e se ne va.
     Tengo con la mano destra la giacca chiusa sui seni scoperti. È quasi scuro. Dove sono? Al parco. Mi sento male... nel senso che mi sento svenire... non solo per il dolore fisico in tutto il corpo, ma per lo schifo... per l’umiliazione... per le mille sputate che ho ricevuto nel cervello... per lo sperma che mi sento uscire. Appoggio la testa a un albero... mi fanno male anche i capelli... me li tiravano per tenermi ferma la testa. Mi passo la mano sulla faccia... è sporca di sangue. Alzo il collo della giacca.
     Cammino... cammino non so per quanto tempo. Senza accorgermi, mi trovo davanti alla Questura.
     Appoggiata al muro del palazzo di fronte, la sto a guardare per un bel pezzo. Penso a quello che dovrei affrontare se entrassi ora... Sento le loro domande. Vedo le loro facce... i loro mezzi sorrisi... Penso e ci ripenso... Poi mi decido...
     Torno a casa... torno a casa... Li denuncerò domani.
 
    Buio.
 
(Questo brano è stato scritto nel 1975 e rappresentato nel 1979 in Tutta casa, letto e chiesa).
 
 

Serve un veto assoluto contro l'uso di proiettili all'uranio di DARIO FO, FRANCA RAME, JACOPO FO

 

Di seguito due articoli, del 1999 e del 2002 sul tema dell'uranio impoverito

CORRIERE DELLA SERA, lunedì 31 maggio 1999 

«Nel Golfo causarono migliaia di vittime, aborti, bimbi deformi».«Spargere del materiale radioattivo è un crimine di guerra». 

Caro direttore, 

il 17 aprile il portavoce Nato, generale Giuseppe Marani, ha dichiarato che «proiettili anticarro con uranio impoverito sono stati usati dai piloti alleati contro le forze serbe in Kosovo» e ha aggiunto che questi proiettili «non comportano alcun rischio» perché hanno un livello di radioattività «non superiore a quello di un orologio» (da il manifesto 20 aprile '99).

 
Permetteteci di dubitare del buon senso di questa affermazione. L'uranio impoverito, ci dicono i libri di fisica, ha una radioattività pari al 60% di quello naturale ed è un prodotto di scarto delle centrali nucleari. Fino a ieri veniva immagazzinato con mille precauzioni a costi altissimi.
Poi si è scoperto che poteva essere usato per ricoprire i proiettili anticarro. Al momento dell'esplosione si incendia sviluppando una temperatura altissima e buca l'acciaio come fosse burro. Bruciando si trasforma in una polvere sottilissima che si sparge nell'aria.
 
Molti studiosi hanno sollevato gravi dubbi sul fatto che sia innocuo. Già nel '79 un rapporto del «U.S. Army Mobility Equipement Research & Development Command» sosteneva che l'uso di questi proiettili metteva in pericolo «non solo le persone nelle immediate vicinanze ma anche quelle che si trovano a distanza sotto vento... le particelle... si depositano rapidamente nei tessuti polmonari esponendo l'ospite a una crescente dose tossica di radiazioni alfa, capace di provocare cancro e altre malattie mortali».
 
Un altro studio commissionato dall'esercito americano (Science Applications International Corp., luglio 1990) afferma: «L'uranio impoverito provoca il cancro quando penetra nell'organismo e la sua tossicità chimica causa danni ai reni». Nonostante questi avvertimenti i proiettili ricoperti di uranio impoverito furono usati nella guerra del Golfo. Subito dopo, nel novembre 1991, il quotidiano londinese The Independent pubblicò uno studio segreto dell'Ente atomico britannico (Ukaea) sui potenziali pericoli costituiti dalla radioattività presente nelle zone dei combattimenti in Iraq e Kuwait a causa di questi proiettili.
 
In questo momento il Pentagono si trova in grande imbarazzo perché dopo la guerra del Golfo più di 80.000 veterani si sono ammalati della cosiddetta Sindrome del Golfo; più di 4500 sono morti, centinaia sono i figli dei reduci nati deformi. Il 5 luglio 1998 il Washington Post ha pubblicato un articolo che avalla la tesi sostenuta da molti ricercatori: una delle cause principali di questa sindrome sono i proiettili all'uranio. La Rai ha commissionato su questo argomento un documentario al regista Alberto D'Onofrio e poi lo ha censurato.
 
Evidentemente però anche il Pentagono qualche dubbio lo deve avere: il San Francisco Examiner del 17 agosto '97 riporta il testo di un manuale di addestramento militare Usa che raccomanda di usare sempre guanti speciali toccando i proiettili e di indossare una maschera speciale mentre questi vengono sparati, concludendo: «Ricordate di stare sempre lontani, se possibile, dagli equipaggiamenti e il terreno contaminati».
 
Ma pare che la situazione in Iraq sia gravissima. Gli elicotteri Apache e gli aerei A10 sono dotati di un cannoncino a 7 canne in grado di sparare 4200 proiettili al minuto. Ogni proiettile è ricoperto da circa 300 grammi di uranio. Le stime più prudenti parlano di più di 300 tonnellate di uranio impoverito scaricate su Iraq e Kuwait. Decine di migliaia sarebbero i morti, gli aborti e le nascite deformi, centinaia di migliaia i malati.
 
Il professor Siegwart-Horst Gunther, presidente della Croce Gialla, ha condotto uno studio impressionante sulle malattie contratte da bambini che si erano trovati a giocare con i bossoli esplosi di questi proiettili e sulle nascite deformi di bimbi e animali nelle zone dei combattimenti.
L'esperienza di questo medico tedesco offre anche una prova indiretta della radioattività di questi proiettili. Egli riportò in Germania un bossolo esploso per poterlo fare analizzare e fu per questo condannato per violazione delle «leggi nucleari».
 
Le organizzazioni pacifiste americane hanno raccolto un dossier enorme sugli effetti di questi proiettili non solo in Iraq, ma anche in Bosnia dove si è riscontrato un notevole aumento di casi di leucemia nelle aree dove hanno operato gli A10 e in una zona del Costarica dove i proiettili all'uranio impoverito sono stati usati in una esercitazione.
 
Ce n'è abbastanza per non sentirsi tranquilli davanti all'ammissione dell'uso di queste armi in Kosovo. E certo non ci saranno molto grati i kosovari, visto che questo uranio è radioattivo per secoli, almeno 4000 anni, secondo le stime più prudenti.
 
Alle interpellanze parlamentari di Semenzato e Paissan, il governo ha risposto che l'Italia non usa queste armi e che si adopererà perché non si usino ma che non si sa nulla di preciso perché c'è il segreto militare.
Non è una risposta esauriente.
In una situazione così pericolosa non ci si può limitare a sperare che i pessimisti abbiano torto. Anche la nostra più viva speranza è che l'uranio impoverito sia innocuo, anzi preghiamo che si scopra che è un ottimo ricostituente, fa venire i denti più bianchi e ridà la voglia di far l'amore agli amanti stanchi. Ma se non è così?
 
Spargere materiale radioattivo è un gesto da tribunale per i crimini di guerra. E il fatto ci riguarda molto da vicino perché la polvere di uranio può essere trasportata dal vento anche per centinaia di chilometri.
 
Forse sarebbe il caso che non si continuasse a far finta di niente e l'Italia ponesse un veto assoluto all'uso di queste armi chiedendo l'apertura di un'indagine internazionale. Se poi si stabilirà con certezza che fanno bene alla salute saremo lieti di acquistare un centinaio di proiettili da tenere in giardino.
 
Speriamo che D'Alema non voglia rischiare di essere ricordato come un fiancheggiatore degli autori di un genocidio. Uno che quando gli chiedono: «Ma lei non sapeva niente?» risponde: «La Nato mi aveva assicurato...».
 
Per concludere vorremmo ricordare che la situazione è particolarmente insidiosa perché i proiettili all'uranio sono un affare colossale, permettono di trasformare le scorie nucleari (che è costosissimo conservare in modo sicuro) in una materia prima preziosa.
 
Le azioni delle imprese che producono questi ordigni stanno aumentando il loro valore rapidamente. Per fortuna, volendo, si potrebbero ripulire l'Iraq e gli altri territori contaminati, ma il costo di una simile impresa è stato stimato intorno ai 50-100 milioni di miliardi di lire. Forse poi una stangatina fiscale non sarà sufficiente a pagare il conto. Da Dario Fo & Franca Rame News
"Il C@C@O della domenica"
 
20 ottobre 2002
 
Massimo D'Alema ha fatto una dichiarazione per molti versi sconcertante.
Se n'e' uscito ventilando la possibilita' di modificare l'articolo 11 della Costituzione, nel quale si dichiara che l'Italia ripudia la guerra e che si impegna a usare le armi solo in caso di un'aggressione diretta.
Questa dichiarazione di D'Alema ci ha lasciati di stucco in quanto sottintende la piena accettazione della logica del conflitto preventivo.
D'Alema sostanzialmente si rende conto che la partecipazione dell'Italia alla guerra contro l'Afghanistan o l'Iraq o e' incostituzionale ma, invece di essere portato a riflettere sull'enormita' che si e' compiuta e si sta compiendo, e' talmente convinto che questa guerra contro gli stati canaglia sia giusta, da trovare ovvio che sia in errore la costituzione italiana e che quindi vada modificata.
E' in questo e' perfettamente in regola con la tendenza dominante. C'e' in giro un tale che ogni volta che lo accusano di un reato lo depenalizza.
Ora non vorremmo tediarvi ripetendo le motivazioni che ci spingono a pensare che questa guerra sia combattuta soprattutto per sporchi interessi petroliferi (non sapremmo come definirli altrimenti), ne vorremmo dilungarci sul particolare costituito dai miliardi di dollari spesi nel passato dagli Usa per finanziare i Talebani, Bin Laden e Saddam...Accenneremo soltanto ai decennali rapporti di amicizia e affari tra la famiglia Bush e Bin Laden e le enormi speculazioni in borsa che scommettevano sugli attentati prima dell'11 settembre. Ne' vorremmo essere prolissi sproloquiando sull'indiscutibile evidenza della sopravvivenza in vita di Bin Laden, il "mullah Omar" e tutta la direzione di Al Queida. I nostri gentili lettori sono di certo informati poi dei campi di concentramento, dei massacri, delle torture, dei proiettili all'uranio impoverito e dei bombardamenti un po' troppo frequenti che, per errore, hanno colpito matrimoni, convogli di profughi, scuole e centri del volontariato in Afghanistan e anche in Iraq dove da un decennio gli Usa bombardano quasi quotidianamente (anche se i mass media non ne parlano).
Insomma diamo per scontato di parlare a persone che hanno la sensazione che la guerra oggi sia il peggiore dei mali. Gia' ora assistiamo a un crescendo drammatico del terrorismo ma una guerra contro l'Iraq significherebbe il rischio di un'esplosione della tensione internazionale con conseguenze che neppure si possono immaginare.
E sinceramente ci stupisce oltremodo che un leader della sinistra si permetta di proporre la modifica dell'articolo 11 della Costituzione Italiana (che come si diceva una volta "e' costata tanti morti") senza aprire prima un dibattito all'interno del proprio partito e dell'Olivo. E ci pare ancor piu' incredibile che alle parole di D'Alema non sia seguita una insurrezione da parte dei militanti DS, che hanno intascato le dichiarazioni dell'Imperatore Massimo senza batter ciglio e senza aprir bocca.
Sconfortante.
E anche di cattivo gusto da parte di D'Alema verso il povero Fassino che ci fa la figura totale del Segretario Generale Fantoccio. Ce lo immaginiamo mentre nella notte telefona al suo Capo con i Baffi e lamentoso domanda:"Ma io cosa ci sto a fare?".
E, proprio un bel periodo per i progressisti in Italia.
Come diceva Moretti?

FINANZIARIA: dichiarazioni di voto finale

Cari Amici,
finalmente ieri sera abbiamo approvato la prima lettura della finanziaria! Adesso tocca alla Camera dei Deputati. Sono tornata a casa a mezzanotte, dopo quasi 15 ore di lavori tra  tensione e incertezza... Ma è successo qualcosa di eccezionale: la finanziaria è stata approvata senza ricorso alla fiducia. Questo non accadeva da moltissimi anni!
Vi propongo tre  interventi in dichiarazione di voto: quello della Senatrice Finocchiaro, poi i Senatori Rossi e Ripamonti.  meravigliosi!
  
FINOCCHIARO (Ulivo). Signor Presidente, onorevoli colleghi, innanzitutto rivolgo un ringraziamento vero al presidente Marini per primo e poi ai senatori Enrico Morando, Giovanni Legnini ed Antonio Boccia, oltre che alle senatrici ed ai senatori appartenenti al mio Gruppo e a quelli della maggioranza. Lo faccio in apertura perché non è la clausola di stile con cui normalmente noi chiudiamo i nostri interventi. È davvero un grazie sentito.
Colleghi, il nostro giudizio su questa finanziaria è ampiamente favorevole. Lo era sul testo del Governo, lo è sul testo che il Senato consegnerà alla Camera. Abbiamo mantenuto le nostre promesse. E non richiamerò i contenuti della finanziaria perché il suo esame è stato svolto in Aula in questi giorni ed è così ravvicinato da rendere quei contenuti noti all'Assemblea.
Quello che voglio dire, se i colleghi me lo consentono, è che l'approvazione della legge finanziaria qui al Senato, con questa maggioranza, senza il ricorso al voto di fiducia, ha un valore politico assai più importante dell'approvazione della legge in sé. Molti commentatori politici l'hanno già definito: "il cambio di fase", la "svolta", il "nuovo scenario". È così.
Mi rivolgo ai colleghi dell'opposizione. Mi rivolgo, in particolare, ai colleghi dell'UDC, di Alleanza Nazionale, della Lega e ai tanti colleghi di Forza Italia trascinati nell'insensatezza di una strategia politica decisa ed imposta dal presidente Berlusconi. (Commenti dal Gruppo FI). Una strategia politica decisa, imposta e sbagliata, innanzitutto per l'Italia, disastrosa per il centro‑destra, che è rimasto schiacciato nella morsa di un'attesa che si è snocciolata, sin dai primissimi giorni della legislatura, giorno dopo giorno, voto dopo voto, provvedimento dopo provvedimento, in attesa della cosiddetta spallata. Termine da partita di rugby. E che non è venuta su questa finanziaria, colleghi, per 715 votazioni.
E mentre questo accadeva, sulla stampa, nelle dichiarazioni pubbliche e private una ridda di indiscrezioni, di pettegolezzi, di retroscena. Espliciti anche sui tentativi di corruzione - come si chiama ovunque nel mondo - corruzione politica di nostri senatori. (Applausi dai Gruppi Ulivo, RC-SE, IU-Verdi-Com, SDSE, Aut, Misto-IdV, Misto-CS e Misto-Pop-Udeur. Proteste dal Gruppo FI).
 
PRESIDENTE. Colleghi, vi prego di lasciar concludere la senatrice Finocchiaro.
 
FINOCCHIARO (Ulivo). Ne hanno parlato esplicitamente alcuni di voi, con accenti lievi ed irridenti, come se si trattasse di una cosa così, che si fa, si può fare e si può anche dire.
A segnalare che ad essere corrotta è, innanzitutto, un'idea della politica. Di più, mi sbagliavo, perché quella non è politica, ma cattiva pratica.
E non è - ne sono assolutamente certa - di tutto il centro-destra. Al contrario, e per sovrapprezzo, la cattiva pratica ha scacciato la politica. E vi ha condannato tutti, senza distinzioni, all'imbarazzato silenzio e all'attesa.
Mi tornava in mente stamane una poesia di Kavafis, che molti di voi conosceranno e di cui voglio ricordare qui soltanto qualche verso, anche per rasserenare il clima: «Che cosa aspettiamo così riuniti sulla piazza? Stanno per arrivare i barbari oggi. Perché un tale marasma al Senato? Perché i senatori restano senza legiferare? È che i barbari arrivano oggi. Che legge voterebbero i senatori? Quando verranno, i barbari faranno la legge». E finisce: «Come sono divenuti gravi i volti! Perché le strade e le piazze si svuotano così in fretta e perché rientrano tutti a casa con un'aria così triste? È che è scesa la notte e i barbari non arrivano. E della gente è venuta dalle frontiere dicendo che non ci sono affatto i barbari. E ora, che sarà di noi senza barbari? Loro erano comunque una soluzione».
È stato così. E molti di voi, colleghi, sanno che non c'è soluzione fuori dalla politica. Lo capisco anch'io che, come dice il presidente Berlusconi, sono comunque una donna. (Applausi dai Gruppi Ulivo, RC-SE, IU-Verdi-Com, SDSE, Aut, Misto-IdV e Misto-Pop-Udeur). La senatrice Bonfrisco non applaude, ma mi sorride, capisco.
Molti di voi autorevolissimi rappresentanti del centro-destra hanno dichiarato che, nel momento in cui questa finanziaria verrà qui approvata, si aprirà una nuova stagione per l'Italia e per la politica, perché a finire sarà la declinazione del bipolarismo come muro contro muro, spallate e ginocchiate, e si aprirà finalmente un nuovo tempo per il Paese, e per ciascuno di noi. Il tempo della riforme di cui discutere insieme, di una nuova legge elettorale, delle grandi questioni nazionali. Ciascuno dalla propria parte, ma insieme per l'Italia.
Anche perchè, lo sapete voi come noi, non c'è più tempo. I barbari non sono arrivati e ne abbiamo sprecato troppo. E questo è imperdonabile.
Non voglio tuttavia sottrarmi ad una riflessione sulla nostra maggioranza che vorrei fare in termini meno stucchevoli della proclamazione di una vittoria.
È una mia riflessione di questi giorni a cui l'intervento di Natale D'Amico, ieri, ha dato un contribuito essenziale. Ed è una riflessione che mi permetto di sottoporre anche al Governo...
 
PARAVIA (AN). Ma quale maggioranza?
 
FINOCCHIARO (Ulivo). Ieri, Natale D'Amico... (Commenti del senatore Paravia).
 
PRESIDENTE. Senatore Paravia, la prego.
 
FINOCCHIARO (Ulivo). La maggioranza che ti ha battuto per 715 volte in quest'Aula e che tra 5 minuti ti batterà ancora una volta. (Applausi dai Gruppi Ulivo, RC-SE, IU-Verdi-Com, SDSE, Aut, Misto-IdV e Misto-Pop-Udeur. Vivaci commenti dai banchi dell'opposizione).
 
PARAVIA (AN). Arrogante! Arrogante!
 
FINOCCHIARO (Ulivo). Ieri, Natale D'Amico ha difeso - in quest'Aula - un articolo che quasi tutti, giornali compresi, hanno definito una "concessione" alla sinistra radicale. Sbagliato. Perché quell'articolo, quella formulazione ormai apparteneva a tutti, uno per uno, delle senatrici e dei senatori della maggioranza. Lo stesso potrei dire per altre parti della legge. Perché quest'anno, molto di più di quanto sia accaduto, paradossalmente, lo scorso anno - lo dico anche al Presidente del Consiglio - quella parte della legge finanziaria che è stata elaborata qui non è stata la tessitura paziente di un patchwork in cui trovare una composizione ponderata. Nella parte costruita qui al Senato è stato molto di più.. È stato il frutto del lavoro, ovviamente durissimo... (Commenti dal Gruppo AN). Ma non siete capaci di fare parlare qualcuno senza interrompere? (Applausi dal Gruppo Ulivo. Commenti dai banchi dell'opposizione). Non siete proprio capaci!
PRESIDENTE. Mi scusi se la interrompo, senatrice Finocchiaro. Vi prego, colleghi. Francamente resto abbastanza stupefatto del fatto che i colleghi dei Gruppi dell'opposizione hanno svolto i loro interventi, sviluppando anche critiche molto severe e aspre verso il Governo, era loro diritto, senza che nessuno di loro fosse interrotto. Vorrei che lo stesso avvenisse nei confronti della senatrice Finocchiaro. La prego di proseguire, senatrice.
FINOCCHIARO (Ulivo). È stato il frutto di un lavoro, certamente durissimo, molto paziente, di mettere a frutto insieme culture politiche diverse, ma soprattutto (lasciatemelo dire) di apprezzarne l'utilità per il cambiamento, la crescita, la coesione del Paese. Il che dimostra soprattutto una cosa: che c'è più forza espressiva comune in questa maggioranza di quanta noi stessi non pensiamo. Altrimenti non ce l'avremmo mai fatta. Lo dico perché capisco, bene, disagi e difficoltà politiche che si segnalano. E penso che vadano prese molto, molto sul serio. Perché l'abbiamo sperimentato proprio sul campo più aspro di questa finanziaria, in queste settimane in cui tutti gli osservatori politici si attendevano che qui finisse.
Ma lo dico perché forse è irrituale rispetto ai canoni che governano normalmente i discorsi politici - normalmente maschili - perché a me è capitato di capirlo molto più lucidamente di quanto fosse mai accaduto in questo anno e mezzo, così che il lavoro che abbiamo prodotto al Senato non ci appartiene a pezzetti per Gruppi, ma appartiene a tutta la maggioranza.
Voi ci avevate sottovalutati, ma noi ci eravamo sottovalutati.
Da oggi ricominciamo, colleghi. Ricominciamo a ragionare, a confrontarci con tutte le forze politiche, con i Gruppi parlamentari, con i colleghi che sceglieranno di discutere di riforme, a cominciare da quella elettorale e da quella istituzionale.

Perché l'attesa è finita, perché comincia di nuovo il futuro della politica e il futuro dell'Italia. (Applausi dai Gruppi Ulivo, RC-SE, IU-Verdi-Com, SDSE, Aut, Misto-IdV, Misto-CS, Misto-Pop-Udeur e dei senatori Levi-Montalcini, Scalfaro e dai banchi del Governo. Molte congratulazioni).
ROSSI Fernando (Misto-Mpc). Signor Presidente, onorevoli colleghi, siamo la sesta o la settima potenza del mondo, conviviamo con milioni di poveri; con pensioni di invalidità a 243 euro al mese; abbiamo giovani - diversamente da quanto pensano alcuni colleghi del centro-destra - non del sottoproletariato, ma di categorie e fasce sociali che una volta si sarebbero dette benestanti, che, dopo anni di studio e qualche master, sono precari. Cresce l'incertezza sul futuro, da questa incertezza vengono le paure per l'immigrazione e per l'ordine.
La sesta potenza del mondo deve affrontare questi problemi.
Siamo in difficoltà nella competizione economica internazionale con altri sistemi Paese che si muovono sul basso costo delle materie prime e della manodopera e sulla mano libera nell'impatto ambientale. L'unica nostra possibilità è la competizione nella ricerca e nell'innovazione.
Abbiamo un apparato pubblico dove non ci muoviamo sulla base del merito e dell'efficienza, abbiamo partiti che nelle varie realtà vanno all'attacco e al saccheggio del denaro pubblico come strumento per la guerra di clientela con altre forze politiche e questo è un problema grande del Paese.
Una finanziaria dovrebbe servire ad affrontare tali problematiche e rimettere in marcia il Paese. Il centro-destra afferma che è una finanziaria contro qualcuno: non è vero, purtroppo è una finanziaria che non aiuta la partenza del Paese. Qualcosa si è ottenuto con questa finanziaria, poche cose, ma come riequilibrio sociale dei risultati ci sono. Ci sono anche delle ombre nel rapporto con il sistema bancario, ma degli impegni ne abbiamo sentito.
Il nostro Movimento vota a favore della finanziaria con l'unica motivazione che dopo questo Governo ci sarebbe di peggio. (Applausi della senatrice Rame).

 
RIPAMONTI (IU-Verdi-Com). Signor Presidente, sono onorato di svolgere la dichiarazione di voto a nome dei senatori di Insieme con l'Unione-Verdi-Comunisti italiani, di Rifondazione Comunista e della Sinistra Democratica. Credo ci saranno altri passaggi nelle prossime settimane e nei prossimi mesi a dimostrazione che è avviato un percorso ed un processo importante non solo per le forze che vi partecipano, ma anche per tutto il sistema politico italiano.
È questa una buona occasione per votare una buona finanziaria. La scommessa della politica economica del Governo è di tenere insieme il risanamento, l'equità e lo sviluppo. Voglio ricordare, signor Presidente, un aspetto di cui non si parla più, di cui probabilmente anche noi ci siamo dimenticati: questa è una finanziaria nella quale non c'è una manovra correttiva, a dimostrazione che i conti pubblici sono a posto e soprattutto che è nella volontà del Governo e della maggioranza di non mettere le mani nelle tasche degli italiani. (Applausi dai Gruppi IU-Verdi-Com, RC-SE e SDSE).
Vedete, la destra ha parlato di manovra di spesa: è invece una manovra di equità, indirizzata soprattutto verso i settori sociali più deboli; una manovra di sviluppo per far crescere il Paese attraverso il sostegno alle imprese e soprattutto per aumentare la capacità di spesa dei settori sociali più deboli, che poi incidono maggiormente sull'aumento dei consumi se hanno qualche soldo in più in tasca.
Ripeto, la destra ha parlato di finanziaria di spesa, invece il dato più clamoroso è che si aggrediscono in modo significativo i costi della politica. Voglio ringraziare, a nome di tutti, il senatore Villone, che ha posto con più forza, attraverso i suoi emendamenti questo tema. (Applausi dai Gruppi IU-Verdi-Com, RC-SE e SDSE). Si tratta di interventi rilevanti come mai si sono realizzati nella storia di questi anni, salvaguardando la partecipazione dal basso, cioè i costi della democrazia, e intervenendo invece in alto sui costi relativi ai parlamentari, sulla composizione del Governo, sugli stipendi altissimi dei dirigenti pubblici, sulla soppressione degli enti inutili, sul riordino degli enti intermedi tra i Comuni e le Province.
È una finanziaria popolare e indirizzata alla sostenibilità, come chiave di uno sviluppo sano, equo, sostenibile e duraturo. In prima lettura, altro dato significativo, l'abbiamo ulteriormente migliorata rispetto alla proposta iniziale, a dimostrazione - io credo - che questa maggioranza sta ritrovando la sua coesione interna, la sua unità, la consapevolezza della sfida alla quale tutti siamo chiamati.
Voglio ricordarne alcuni passaggi. Per il 2008 si prevede un intervento sul fiscal drag a favore dei lavoratori dipendenti. Le maggiori entrate, il cosiddetto tesoretto, del quale si è parlato in queste settimane, è destinato alla riduzione della pressione fiscale per i lavoratori dipendenti.
Si prevede l'abolizione del ticket (10 euro) sulla diagnostica, per un costo di 834 milioni di euro. Abbiamo trovato una copertura solida, una copertura che funziona. Non capisco perché ci sia stata questa opposizione da parte della destra nei confronti di una misura simile. Non si capisce perché la destra abbia impostato una campagna contro questa iniziativa, che credo vada invece incontro ad un'esigenza del nostro Paese.
Si prevede la stabilizzazione dei precari nella pubblica amministrazione. Non è, come si è detto in queste settimane, un regalo a chi entra nella pubblica amministrazione grazie a favori politici. È un atto di giustizia nei confronti di chi, per anni, ha prestato la propria opera, garantendo il funzionamento di uffici e di servizi, assicurando competenze e professionalità.
Si prevede la riforma complessiva, voglio ricordarlo, perché è un altro aspetto importante, del sistema degli incentivi per lo sviluppo delle fonti rinnovabili. L'Italia si mette al pari con l'Europa. L'Italia si avvia su una strada virtuosa e sostenibile che va vista insieme all'eliminazione dei CIP 6, cioè di quegli incentivi che venivano assegnati agli inceneritori per bruciare schifezze e che venivano pagatidai cittadini, attraverso la bolletta elettrica. Uno scandalo che abbiamo cancellato e ora sono finalmente disponibili 600 milioni di euro l'anno per le fonti rinnovabili. Inoltre, c'è la possibilità di avere tariffe più basse per i consumatori.
Abbiamo poi istituito il fondo per l'uranio impoverito, per garantire il riconoscimento al personale militare e civile e gli indennizzi per coloro che si sono ammalati per il contatto con queste sostanze che provocano cancro e infermità. Il fondo è destinato anche alla bonifica dei siti contaminati, come poligoni e mezzi navali utilizzati per il trasporto di questi materiali nocivi per la salute.
Credo siano passaggi importanti, che però dobbiamo confrontare con le proposte che abbiamo sentito in queste settimane, durante l'esame della finanziaria, da parte dell'opposizione, da parte della destra. L'opposizione, bisogna dirlo chiaramente, ha detto che sarebbe stato meglio non far niente, non approvare la finanziaria e andare all'esercizio provvisorio. C'è stata un'intervista autorevole sul "Corriere della sera" dell'ex ministro Tremonti, che ha detto che per l'Italia sarebbe stato meglio andare all'esercizio provvisorio. Lasciamo perdere l'esposizione negativa che potrebbe avere il nostro Paese sui mercati internazionali se noi dovessimo compiere realmente una scelta di questo tipo, ma la destra dovrebbe dire, non soltanto a quest'Aula, ma anche al Paese, cosa significa esercizio provvisorio, cosa significa non approvare questa finanziaria.
Ebbene, significa non garantire la quattordicesima mensilità per le pensioni basse. Significa che non c'è più la detrazione dell'ICI. Significa che non ci sono più i contributi per gli affittuari. Significa che si ritorna allo scalone Maroni il 1° gennaio 2008 e si introduce la pensione a sessant'anni.
Questo significa l'esercizio provvisorio. Significa che non c'è la riduzione della pressione fiscale per le imprese. Significa che non c'è la riduzione dei costi della politica. Significa che non c'è più il fondo di garanzia per chi ha contratto un affitto e lo vede crescere per l'aumento dei tassi di interesse. Questo è ciò che occorre dire al Paese. Se si dicono queste cose al Paese, il Paese capisce la nostra politica, quella attuata da questa maggioranza e da questo Governo. (Applausi dal Gruppo IU-Verdi-Com).
Penso che il Paese sia d'accordo con noi. Questa è una finanziaria giusta che farà bene al Paese. Il nostro è un voto convinto, è uno stimolo al Governo ad andare avanti, perché abbia come riferimento il suo programma e la sua maggioranza. Il Governo non si faccia distrarre dalle maggioranze di nuovo conio o da chi ritiene di essere autosufficiente.
La verità è che dopo la finanziaria si apre una nuova stagione politica, per il centro-sinistra certamente, ma anche per il centro-destra. La spallata è fallita, la campagna acquisti dei senatori è più complicata del previsto e allora c'è stata una reazione - concedetemelo - quasi rabbiosa da parte di Forza Italia. Forza Italia, in particolare, ha drammatizzato lo scontro per tenere viva l'attenzione sulla sua raccolta di firme per votare subito. Se c'è un voto da dare subito è il voto su questa finanziaria perché questo è il nostro impegno per il Paese e il centro-destra deve ridiscutere le modalità e le strategie della sua opposizione e la sua leadership.
Questa è la nuova stagione politica che si apre. Noi siamo pronti, per questo votiamo la finanziaria e diciamo al Governo di andare avanti. (Applausi dai Gruppi IU-Verdi-Com, RC-SE, SDSE, Ulivo e Aut. Congratulazioni).
 


Il triangolo nero

Violenza, propaganda e deportazione. Un manifesto di scrittori e artisti contro la violenza su rom, rumeni e donne
 
 
La storia recente di questo paese è un susseguirsi di campagne d'allarme, sempre più ravvicinate e avvolte di frastuono. Le campane suonano a martello, le parole dei demagoghi appiccano incendi, una nazione coi nervi a fior di pelle risponde a ogni stimolo creando "emergenze" e additando capri espiatori.        
Una donna è stata violentata e uccisa a Roma. L’omicida è sicuramente un uomo, forse un rumeno. Rumena è la donna che, sdraiandosi in strada per fermare un autobus che non rallentava, ha cercato di salvare quella vita. L'odioso crimine scuote l'Italia, il gesto di altruismo viene rimosso.
Il giorno precedente, sempre a Roma, una donna rumena è stata violentata e ridotta in fin di vita da un uomo. Due vittime con pari dignità? No: della seconda non si sa nulla, nulla viene pubblicato sui giornali; della prima si deve sapere che è italiana, e che l’assassino non è un uomo, ma un rumeno o un rom.
Tre giorni dopo, sempre a Roma, squadristi incappucciati attaccano con spranghe e coltelli alcuni rumeni all'uscita di un supermercato, ferendone quattro. Nessun cronista accanto al letto di quei feriti, che rimangono senza nome, senza storia, senza umanità. Delle loro condizioni, nulla è più dato sapere.
Su queste vicende si scatena un'allucinata criminalizzazione di massa. Colpevole uno, colpevoli tutti. Le forze dell'ordine sgomberano la baraccopoli in cui viveva l'assassino. Duecento persone, tra cui donne e bambini, sono gettate in mezzo a una strada.
E poi? Odio e sospetto alimentano generalizzazioni: tutti i rumenisono rom, tutti i rom sono ladri e assassini, tutti i ladri e gli assassini devono essere espulsi dall’Italia. Politici vecchi e nuovi, di destra e di sinistra gareggiano a chi urla più forte, denunciando l’emergenza. Emergenza che, scorrendo i dati contenuti nel Rapporto sulla Criminalità (1993-2006), non esiste: omicidi e reati sono, oggi, ai livelli più bassi dell’ultimo ventennio, mentre sono in forte crescita i reati commessi tra le pareti domestiche o per ragioni passionali. Il rapporto Eures-Ansa 2005, L'omicidio volontario in Italia e l’indagine Istat 2007 dicono che un omicidio su quattro avviene in casa; sette volte su dieci la vittima è una donna; più di un terzo delle donne fra i 16 e i 70 anni ha subito violenza fisica o sessuale nel corso della propria vita, e il responsabile di aggressione fisica o stupro è sette volte su dieci il marito o il compagno: la famiglia uccide più della mafia, le strade sono spesso molto meno a rischio-stupro delle camere da letto. Nell’estate 2006 quando Hina, ventenne pakistana, venne sgozzata dal padre e dai parenti, politici e media si impegnarono in un parallelo fra culture. Affermavano che quella occidentale, e italiana in particolare, era felicemente evoluta per quanto riguarda i diritti delle donne. Falso: la violenza contro le donne non è un retaggio bestiale di culture altre, ma cresce e fiorisce nella nostra, ogni giorno, nella costruzione e nella moltiplicazione di un modello femminile che privilegia l’aspetto fisico e la disponibilità sessuale spacciandoli come conquista. Di contro, come testimonia il recentissimo rapporto del World Economic Forum sul Gender Gap, per quanto riguarda la parità femminile nel lavoro, nella salute, nelle aspettative di vita, nell’influenza politica, l’Italia è 84esima. Ultima dell’Unione Europea. La Romania è al 47esimo posto.
Se questi sono i fatti, cosa sta succedendo?
Succede che è più facile agitare uno spauracchio collettivo (oggi i rumeni, ieri i musulmani, prima ancora gli albanesi) piuttosto che impegnarsi nelle vere cause del panico e dell’insicurezza sociali causati dai processi di globalizzazione.
Succede che è più facile, e paga prima e meglio sul piano del consenso viscerale, gridare al lupo e chiedere espulsioni, piuttosto che attuare le direttive europee (come la 43/2000) sul diritto all’assistenza sanitaria, al lavoro e all’alloggio dei migranti; che è più facile mandare le ruspe a privare esseri umani delle proprie misere case, piuttosto che andare nei luoghi di lavoro a combattere il lavoro nero.
Succede che sotto il tappeto dell’equazione rumeni-delinquenza si nasconde la polvere dello sfruttamento feroce del popolo rumeno.
Sfruttamento nei cantieri, dove ogni giorno un operaio rumeno è vittima di un omicidio bianco.
Sfruttamento sulle strade, dove trentamila donne rumene costrette a prostituirsi, metà delle quali minorenni, sono cedute dalla malavita organizzata a italianissimi clienti (ogni anno nove milioni di uomini italiani comprano un coito da schiave straniere, forma di violenza sessuale che è sotto gli occhi di tutti ma pochi vogliono vedere).
Sfruttamento in Romania, dove imprenditori italiani - dopo aver "delocalizzato" e creato disoccupazione in Italia - pagano salari da fame ai lavoratori.
Succede che troppi ministri, sindaci e giullari divenuti capipopolo giocano agli apprendisti stregoni per avere quarti d’ora di popolarità. Non si chiedono cosa avverrà domani, quando gli odii rimasti sul terreno continueranno a fermentare, avvelenando le radici della nostra convivenza e solleticando quel microfascismo che è dentro di noi e ci fa desiderare il potere e ammirare i potenti. Un microfascismo che si esprime con parole e gesti rancorosi, mentre già echeggiano, nemmeno tanto distanti, il calpestio di scarponi militari e la voce delle armi da fuoco.
Succede che si sta sperimentando la costruzione del nemico assoluto, come con ebrei e rom sotto il nazi-fascismo, come con gli armeni in Turchia nel 1915, come con serbi, croati e bosniaci, reciprocamente, nell’ex-Jugoslavia negli anni Novanta, in nome di una politica che promette sicurezza in cambio della rinuncia ai principi di libertà, dignità e civiltà; che rende indistinguibili responsabilità individuali e collettive, effetti e cause, mali e rimedi; che invoca al governo uomini forti e chiede ai cittadini di farsi sudditi obbedienti.
Manca solo che qualcuno rispolveri dalle soffitte dell’intolleranza il triangolo nero degli asociali, il marchio d’infamia che i nazisti applicavano agli abiti dei rom.
E non sembra che l'ultima tappa, per ora, di una prolungata guerra contro i poveri.
Di fronte a tutto questo non possiamo rimanere indifferenti. Non ci appartengono il silenzio, la rinuncia al diritto di critica, la dismissione dell’intelligenza e della ragione.
Delitti individuali non giustificano castighi collettivi.
Essere rumeni o rom non è una forma di "concorso morale".
Non esistono razze, men che meno razze colpevoli o innocenti.
Nessun popolo è illegale.
 
Per sottoscrivere: http://www.petitiononline.com/trianero/petition.html
 
Adesioni aggiornate alle 22.31 di martedì 13 novembre 2007:
 
Elaborato da
Alessandro Bertante, Gianni Biondillo, Girolamo De Michele, Valerio Evangelisti, Giuseppe Genna, Helena Janeczek, Loredana Lipperini, Monica Mazzitelli, Marco Philopat, Marco Rovelli, Stefania Scateni, Antonio Scurati, Beppe Sebaste, Lello Voce, Wu Ming.
 
Primi firmatari
Bruno Arpaia – Articolo 21– Andrea Bajani – Nanni Balestrini – Ivano Bariani – Remo Bassini – Silvio Bernelli – Stefania Bertola – Bernardo Bertolucci - Sergio Bianchi – Gianni Biondillo – Ginevra Bompiani – Laura Bosio – Botto&Bruno - Silvia Bre – Enrico Brizzi – Luca Briasco – Lanfranco Caminiti – Rossana Campo – Paola Capuzzo – Massimo Carlotto – Lia Celi – Mauro Covacich - Derive Approdi – Jacopo De Michelis – Filippo Del Corno – Erri De Luca - Mario Desiati – Igino Domanin – Francesco Forlani – Enzo Fileno Carabba – Marcello Flores – Marcello Fois – Enrico Ghezzi – Tommaso Giartosio – Lisa Ginzburg – Roberto Grassilli – Andrea Inglese – Franz Krauspenhaar – Kai Zen – Nicola Lagioia – Gad Lerner – Giancarlo Liviano – Carlo Lucarelli – Gordiano Lupi – Marco Mancassola – Luca Masali – Raul Montanari – Giuseppe Montesano – Giulio Mozzi – Moni Ovadia - Chiara Palazzolo – Valeria Parrella – Giuseppe Pederiali – Sergio Pent – Tommaso Pincio – Guglielmo Pispisa – Gabriele Polo – Andrea Porporati – Alberto Prunetti – Christian Raimo – Veronica Raimo – Ugo Riccarelli – Marco Rovelli – Clara Sereni – Piero Sorrentino – Carola Susani – Stefano Tassinari – Annamaria Testa – Laura Toscano – Emanuele Trevi – Filippo Tuena – Raf Valvola Scelsi – Giorgio Vasta – Grazia Verasani – Sandro Veronesi – Marco Vichi – Simona Vinci – Yo Yo Mundi - Franca Rame
 
Altre adesioni:
Fulvio Abbate – Cristina Ali Farah - Enzo Aggazio – Loredana Aiello – Max Amato – Cris Amico – Cinzia Ardigò – Roberto Armani – Paolo Arosio – Rossano Astremo – Eva Banchelli – Guido Barbuijanni – Adriano Barone – Daniela Basilico – Antonella Beccaria – Gigi Bellavita – Violetta Bellocchio – Paola Bensi – Alessandro Beretta – Alberto Bertini – Marco Bettini – Paolo Bianchi – Valter Binaghi – Enrico Blasi –Augusto Bonato – Carlo Bordini –Valentina Bosetti – Giovanni Bozzo – Anna Bressanin – Annarita Briganti – Gianluca Bucci – Elisabetta Bucciarelli – Manuela Buccino – Franco Buffoni – Errico Buonanno – Giusi Buondonno – Daniele Caluri – Nives Camisa – Carlo Carabba – Eleonora Carpanelli – Silvia Castoldi – Ettore Calvello – Francesco Campanoni - Fabrizio Centofanti – Marcello Cimino – Paolo Cingolani – Beatrice Cioni – Francesca Corona – Stefano Corradino – Marina Crescenti – Vittorio Cartoni – Marcello D’Alessandra – Cristina D’Annunzio – Gabriele Dadati – Manuela Dall’Acqua – Patrizia Debicke van der Noot – Lello Dell’Ariccia – Paolo Delpino – Valentina Demelas – Prisca Destro –Donatella Diamanti – Tecla Dozio – Nino D’Attis – Bruna Durante – Arturo Fabra – Franco Fallabrino – Giulia Fazzi – Giorgia Fazzini – David Fiesoli – Lissa Franco – Gabriella Fuschini – Daniela Gamba – Barbara Garlaschelli – Maria Nene Garotta – Luisa Gasbarri – Massimiliano Gaspari – Catia Gasparri – Valentina Gebbia – Lucyna Gebert – Lello Gurrado – Francesca Koch - Rossella Kohler – Daniela Lampasona – Federica Landi – Albertina La Rocca – Filippo Lazzarin – Elda Levi – Mattea Lissia – Giorgio Lulli – Monica Lumachi – Alessandro Maiucchi – Ilaria Malagutti – Felicetta Maltese – Emanuele Manco – Federica Manzon – Roger Marchi – Mauro Marcialis – Adele Marini – Gianluca Mascetti – Laura Mascia – Giusy Marzano – Anna Mascia – Mara Mattoscio – Stefano Mauri – Lorenzo Mazzoni – Ugo Mazzotta – Michele Mellara – Michele Meomartino – Sandro Mezzadra – Camilla Miglio – Paola Miglio – Laura Mincer – Olek Mincer – Mauro Minervino – Roberto Mistretta – Elena Mora – Giorgio Morale – Elio Muscarella – Nino Muzzi – Anna Negri – No Reply – Giovanni Nuscis – Dida Paggi - Valentina Paggi – Enrico Palandri – Enrico Pau – Alessandra Pelegatta – Leonardo Pelo – Graziella Perin - Seba Pezzani – Santo Piazzese – Alessandro Piva – Serena Polizzi – Massimo Polizzi – Nicola Ponzio – Kiki Primatesta – Maddalena Pugno – Paolo Reda – Luigi Reitani – Jan Reister – Sergio Rilletti – Mirella Renoldi – Patrizia Riva – Monica Romanò – Alessandro Rossi – Anna Ruchat – Marta Salaroli – Carlo Salvioni – Bianca Sangiorgio – Veronica Santo – Simone Sarasso – Dimitri Sardini – Monica Scagnelli – Angela Scarparo – Gabriella Schina – Elvezio Sciallis – Marinella Sciumè – Gian Paolo Serino – Matteo Severgnini – Michèle Sgro – Carlo Arturo Sigon – Nicoletta Sipos – Antonio Spaziani – Mario Spezi – Susi Sacchi – Stalker/Osservatorio nomade – Claudia Stra’ – Luigi Taccone – Giorgio Tinelli – Veronica Todaro – Sara Tremolada – Francesco Trento – Giovanna Tridente – Tonino Urgesi – Chiara Valerio – Sasa Vulicevic – Maria Luisa Venuta – Roberto Vignoli – Diego Zandel – Salvo Zappulla
 
 
 
 
 
 


NON SI VIVE DI SOLO PANE

di  Antonietta M. Gatti
 
Da quando Enzo Biagi è morto i particolari della sua emarginazione sono venuti a galla.
Qualcuno ha sentito che le sue parole ferivano più di una spada, quindi ha dato ordine di “far qualcosa”. Si è detto che fu emanato quello che è stato subito battezzato l’“editto bulgaro” contro di lui (Berlusconi lo emanò da Sofia). Adesso si chiama così. Una volta si chiamava carognata, poi pugnalata alle spalle, quindi mobbing.
La verità è che i diretti superiori di Biagi si sono sentiti in dovere di far qualcosa.
Non vorrei essere stata nei loro panni perché da una parte avevano l’opinione pubblica con cui fare i conti, dall’altra dovevano rispondere a una persona cui non potevano dire di no se volevano continuare a stare su quella sedia e ad avere uno stipendio (lauto) alla fine del mese. In modo farsesco, impacciato, tutt’altro che intelligente ma efficace ci sono riusciti.
Lo hanno emarginato, gli hanno impedito di far conoscere il suo pensiero, lo hanno imprigionato in nella gabbia dei suoi pensieri.  Hanno messo il suo cervello in salamoia, sperando che diventasse asfittico. Hanno chiuso il volume della sua voce. Semplice.
La mafia uccide con la “lupara”, in altri ambienti si uccide un’anima, un cervello con il volume della voce.
Ma ora devono fare i conti con qualcosa di diverso: hanno creato un martire.
Chi soffocherà quel venticello di disdegno che sta salendo dal basso verso le più alti sfere?
Un uragano comincia sempre così, con un venticello che via via diventa sempre più impetuoso, sino a che diventa furia incontrollata.
In questo caso non si può spegnere l’audio, semplicemente perché non c’è il bottone.
Ma di martiri in giro ce ne sono sempre di più.
La gente cui si deve chiudere la bocca semplicemente perché non le si può spegnere il cervello sta aumentando. Si chiama censura delle idee. Chi denuncia è a sua volta denunciato.
Non si possono toccare le alte sfere. Non c’è diritto di critica.
Chi mi ospita ha subito in passato questa censura. E’ stato allontanato dal suo luogo di lavoro. Le si è impedito di lavorare perché le sue idee non erano “in linea”. Le idee “curve” hanno sempre dato molto fastidio. Ma ugualmente gli emarginati sono riusciti ad inventarsi un altro lavoro, sicuramente  diverso. Hanno detto ciò che pensavano in circoli privati, in stadi, dovunque ci fosse qualcuno desideroso di sapere, di conoscere un altro punto di vista.
Io stessa ho subito la censura dei colletti bianchi. E’ sottile, meno goffa, perché fa riferimento a regole, a virgole, a commi che nessuno deve seguire, tranne te.
A te viene imposto di seguire anche la nota a piè di pagina, magari secondo un’interpretazione particolare. Impossibile farlo? Non è affar loro.
Se la tua ricerca lede interessi o di una persona o di un gruppo, non hai possibilità di lavorare. Per esempio, ti vengono a dire che il laboratorio dove lavori non è a norma 626, come se fosse compito del lavoratore sopperire ad una carenza che spetta al datore di lavoro risolvere. Così ti chiudono non la ricerca (in Italia la ricerca è libera!) ma il luogo dove quella ricerca la svolgi. Semplice.
Abbiamo in questo momento altri casi emblematici di persone alle quali tolgono le inchieste perché le  indagini si dirigono verso l’alto. Allora ti “fregano” lavorando di regolamenti, di commi che non hai seguito alla lettera, in modo da far apparire che sei tu a non aver fatto il tuo dovere. Va detto, per amore di verità, che seguire dette procedure in quell’ambiente significa affossare tutto. Se, però, sei inattaccabile dal punto di vista della “carta”, si lavora di calunnia. Nei salotti buoni il capo di turno si lascia sfuggire un pettegolezzo, un’insinuazione ed in men che non si dica ti ritrovi con malattie mentali, amanti, frequentazioni sospette e via discorrendo. Tutti si allontanano da te. Sei solo. Hanno trovato il modo di togliere la mela buona dal cesto delle mele marce.
Così continuiamo ad emarginare le nostre menti più belle e vedrete che cosa ci rimarrà fra poco: pochi cervelli e per di più putridi, buoni neanche per il gatto. Ma il potere sarà salvo come pure i soldi che intorno al potere inevitabilmente ruotano. Potete stare tranquilli: quelli vi usciranno dalla bara, tanti ce ne sono. Diceva Verga “Roba mia vientemene cummè”, quando il protagonista avido sta per morire e si rende conto che ha speso la sua vita ad accumulare soldi che non si può portare nell’aldilà. E l’accumulo di potere non fa differenza.
In tutte queste storie non c’è morale, non c’è odio; c’è, invece, apatia, disamore per tutto e per tutti.
Ci stiamo avvicinando ad una morte nella mente, o, meglio, nell’anima, e nel corpo. Quando saremo tutti ridotti a livello di zombie, cari potenti , che cosa farete? Come i parassiti più stupidi avrete consumato l’ospite che vi nutriva, perché a quel livello noi non avremo più nemmeno la forza (e l’interesse) per andare a votarvi. Vi ritroverete in un cimitero dove l’unica voce è la vostra. Vi farete l’eco per farvi compagnia. E sarà allora che anche il vostro cervello vi tradirà.
 
 


INTERVENTO DI FRANCA RAME IN AULA SUGLI EMENDAMENTI ALLA FINANZIARIA

 
Ecco il resoconto dell'intervento odierno, in risposta alle molte sollecitazioni dell'opposizione.
 
RAME (Misto). Signor Presidente, onorevoli colleghi, è da tutta la vita che mi occupo dei problemi del prossimo, orami da anni e anni. Ho sottoscritto gli emendamenti presentati dai senatori Rossi e Turigliatto perché sono convinta della loro giustezza.
Mi trovo in una spiacevole situazione (non per questa volta sola ma per più volte) dal momento che sono cosciente della mia posizione in questo momento. Io non sono più quella di due anni fa: sono quella di adesso. Ho assunto un impegno con questo Governo e devo purtroppo andare contro la mia coscienza, facendo una gran fatica.
(Commenti ironici dai banchi dell'opposizione).
Devo difendere il mio Governo e, fino alla fine, voterò per il Governo con L'Ulivo! (Applausi dai Gruppi Ulivo, RC-SE, IU-Verdi-Com, SDSE, Aut, Misto-IdV e Misto-Pop-Udeur e dai banchi del Governo).


Milano - immigrati testo recitato al Leoncavallo nel 1999

19 gennaio 1999
Stesura finale recitata al Centro Sociale Leoncavallo

 

 

immagine del rifugio-dormitorio dei clandestini

14.50 Manifestazione contro gli immigrati clandestini e i delinquenti.

Stazione centrale.
Gruppi di gente con le ramazze allungate e il nastrino tricolore, maxischermo che ripete i dati di furti, rapine e scippi degli immigrati. Ne ha parlato perfino la T.V. ganese. La pubblicità è arrivata sin là. Che forza!
Che stupenda festa di popolo! Ci godiamo la sfilata degli aderenti al Polo: che spettacolo! Uomini, giovani e adulti, bambini, donne… magliette taglia 64, con slogan.
Gli organizzatori avevano assicurato che si sarebbe trattato di una manifestazione di popolo non inquadrato: “Il partito non c’entra, dev’essere una cosa spontanea “disorganizzata”, ognuno intervenga col proprio cuore, con genuino slancio… tutti insieme a manifestare contro il crimine... autonomamente... per salvare Milano dalla violenza! Niente bandiere altrimenti Albertini non viene! Il partito non c’entra!”
Ma ecco che all’improvviso, dalla folla, spuntano una selva di bandiere bianco-rosso-verde con la scritta Forza Italia e quelle di Avanguardia Nazionale... pardon, Alleanza Nazionale... pare il Palio di Siena quando sbandierano le contrade…. È tutto uno sventolio. Che spontaneità!
Per fortuna che gli slogan sono liberi - avanti tutta!
 “Basta con gli abusivi, i criminali sloveni, slavi, croati, albanesi e negri!... Basta con la mafia dei russi e dei bulgari!”
“Clandestino torna al tuo paesino”
“L’Italia agli italiani, fuori gli africani”
“D’Alema presidente, immigrato delinquente”.
Poi tutti a gran voce, comprese le signore: “Macché tolleranza, macché democrazia, coi calci in culo li cacceremo via!”-ma signora, come parla, ci sono i bambini!
Al culmine c’è stato l’urlo acuto di un coro isterico: “La pena di morte per i delinquenti extracomunitari!”.
Non c’é signora che non abbia subito 3 scippi in due giorni.
(Corriere della Sera): Io ora vado in giro col coltello, uno l’ho fatto scappare… aveva la pelle nera e non dico altro!” e tira fuori un temperino buono al massimo per far la punta ad uno stuzzicadenti
“Sotto il mio appartamento 6 eritrei stanno in una stanza di 4 metri per 4. Praticamente vivo su una mina!”
La signora non sa che quella mina senza gabinetto, rende al padrone di casa 3 milioni e seicentomila lire al mese.
“Fuori gli abusivi multietnici!” 

Nome: Eduard
Cognome... Silenzio.
Età: 20 anni
Nazionalità: ucraina.
Professione: autista.
“Perché sei emigrato?”
“Nel mio Paese lavoravo ma da sette mesi non vedevo lo stipendio!”
Condizione attuale: Disoccupato in attesa di sanatoria, senza casa né un luogo qualsiasi dove andare a dormire.
 
Nome:Mirko
Cognome: Silenzio.
23 anni.
Ucraino.
Professione: contadino
“Perché sei emigrato?” - “Lavoravo senza stipendio, solo vitto, quando c’era, e alloggio.”
Condizione attuale: Disoccupato e senza casa in attesa di sanatoria.
 
Nome: Alina
Cognome: Silenzio.
Età: 21 anni
Ucraina.
Commessa.
Perché sei emigrata: Sono venuta in Italia con mio marito. Ero incinta, ho partorito qui. Non avevamo casa. Ho riportato il bimbo da mia madre. Vivevamo nella fabbrica. Ci hanno sloggiati. Abbiamo dormito due notti su una panchina. Credevo che saremmo morti di freddo. Di giorno ogni tanto si entrava in un bar con la paura che arrivasse la polizia, Abbiamo speso i soldi che avevamo in latte e caffè. Poi abbiamo saputo che qui, al Leoncavallo avremmo trovato da dormire. Grazie.
 
Berlusconi e Fini intervistati dai Tg 1, 2 e 3, hanno dichiarato: “Noi siamo per l’accoglienza... naturalmente regolarizzata, controllata e legale. Tutti quegli extracomunitari che arriveranno da noi con un lasciapassare, la voglia di lavorare e soprattutto con un contratto di lavoro, saranno i benvenuti. Gli altri, gli abusivi, gli irregolari... ci dispiace... ma non c’è posto... devono tornarsene a casa!”
“Ma a casa loro, come lei ben sa Presidente, c’è la guerra... il massacro”
“Ci pensino gli organi internazionali competenti! Non possiamo accollarci tutto il dramma del mondo!”
 
Sono curdo. Età: 35 anni. Sono stato raccolto al primo di dicembre, con un gruppo di miei compagni al largo delle coste di Malta. La nave che ci trasportava ci ha mollati in 60, stipati in condizioni inumane su una barca di 7 metri. Ci siamo rimasti per 6 giorni, disperati. Non speravamo ne aspettavamo più niente. Ad un tratto vediamo una nave russa all’orizzonte. Miraggio? Ci prende una crisi isterica, ci buttiamo in mare nel tentativo disperato di raggiungere la nave, mentre i marinai organizzano i soccorsi e calano scialuppe per raggiungerci. Ma otto di noi non ce l’hanno fatta: stremati dal viaggio annegano a pochi metri dalla salvezza.
 
“Mi scusi Onorevole, per quanto riguarda il permesso d’entrata nel nostro Paese, ci vuole un contratto di lavoro...”
“Sì, giusto...”
“Ma se non entrano, come fanno a procurarselo ‘sto contratto?” “Beh, ci sono le agenzie... gli appositi uffici di collocamento...” - “Ma se gli uffici di collocamento non funzionano coi nostri disoccupati, come pretende che funzionino coi disoccupati stranieri?”
“Appunto, i nostri uffici non sono tenuti a risolvere i problemi dei profughi disperati se prima non hanno risolto il problema dei disperati indigeni: prima gli italiani sopratutto... poi i meridionali!... Ad ogni modo c’è sempre la scappatoia del contratto a salario minimo...”
“Vuol dire: contratto a strozzo?”
“Sì, appunto... cioè no... non mi faccia dire cose che sono contro la mia morale d’onesto imprenditore!”
“D’accordo... ma ammesso che un extracomunitario riesca a trovare un contratto, non importa se ridotto, decurtato... a strozzo... lei sa, Onorevole, che non è valido se prima non si è dimostrato di possedere una casa, almeno in affitto?”
“Beh, sì, lo so... è la legge!”
“Allora, mi spieghi come può il nostro extracomunitario con diritto d’ingresso, trovare una casa... anche se monolocale con servizi igienici nel cortile, da dividere con altre tre famiglie, al prezzo di seicentomila lire al mese… per letto... Come può, dicevo, affittarla se per legge bisogna prima possedere un contratto di lavoro?”
“Sì, certo, è un po’ difficile... ma si può realizzare con una buona dose di elasticità mentale... Aumentando la velocità d’azione fino al diapason assoluto, si ottiene che le differenze di tempo e spazio si annullano e uno riesce nello stesso tempo a trovarsi all’ufficio registri, all’ufficio segnalazioni d’affitto, alla camera depositi contratti, dal datore di lavoro e dal padrone dello stabile. Questione di ritmo, iniziativa e volontà civile! Ad ogni modo, questi sono particolari di poco conto. Importante, come dicevo, è che uno venga da noi con la volontà di lavorare... produrre e... rispettare le regole del profitto... pardon, volevo dire del programma... del nostro ordinamento. Legalità! Legalità”
“D’accordo ma, perdoni se le faccio notare, Onorevole Cavaliere, che più di mezzo milione di extracomunitari che, oggi, hanno un lavoro, se pure schifoso, precario e transitorio... l’hanno ottenuto quasi tutti arrivando da noi da clandestini... Arrivare in Europa con un contratto in mano è più difficile che vincere al Super Enalotto!”
 

“Chi ha baciato i topi ‘stanotte? A volte nel sonno succede di trovarseli sopra la testa!”

 
Il Governatore della Banca d’Italia, Fazio, ha detto che i lavoratori che vengono dall’est e dall’ovest, sono una ricchezza insperata per la nostra economia... diciamo pure una pacchia, giacché, per esempio, i nostri produttori del sud sono riusciti ultimamente a battere i prezzi offerti dagli altri Paesi del Mercato Comune, di agrumi, patate, pomodori e frutta in genere, proprio grazie alle paghe da fame accettate, prendere o morire, dai disperati del terzo mondo e dagli slavi, sloveni e via che la vita è bella!”
 
20 dicembre. Sono kòssovo. gli scafisti si sono fatti scudo con i nostri bambini per bloccare l’inseguimento delle motovedette militari, poi a pochi metri dalla costa pugliese ci hanno gettati in mare, come fossimo casse di sigarette, tutti, compresi donne e bambini neonati e sono fuggiti verso l’Albania per caricare altri disperati. I volontari ci hanno accolti, aiutati ed hanno rintracciato i 47 bambini dispersi nel mare o sbarcati qua e là sulle coste. Polizia e carabinieri ci hanno dato coperte, latte caldo e si sono occupati dei più piccoli in preda ad assideramento.
 
“Ma lei, Presidente, immagino non sia d’accordo con quella stampa e televisione, compreso qualche suo canale, che esprimono il teorema: clandestini extracomunitari, uguale criminalità!”
“No di certo!”
“Però durante la manifestazione a Milano si sono udite grida che esprimevano slogan con questo esatto concetto!”
“Non è vero!”
“Cavaliere, abbiamo le registrazioni effettuate nei pressi di Piazza della Scala...”
“Sarà stato qualche provocatore comunista da qualche finestra del palazzo!”
“Dal palazzo della CONFINDUSTRIA?!”
“Ma che ne so io che palazzo! Forse da quello di fronte!”
“Ah, da Palazzo Marino?!”
“La smetta di provocare! E se ne vada!”
“D’accordo... d’accordo, come non detto, Cavaliere.”
“E basta con queste insinuazioni! Io sono per l’accoglienza... ma sono contro il clandestino che spesso arriva qui non disperato e cacciato dalla guerra, dal suo Paese... ma organizzato da bande criminali della mafia russa o albanese che hanno addirittura soppiantato, in poche settimane, le bande criminali che operavano nella nostra città!”
“E le sembra questa una grave perdita per la dignità criminale del nostro Paese?”
“Non faccia dello spirito fuori luogo, per favore!”
“Ha ragione, scusi.” 

“Dicevo che per questi criminali ci vogliono leggi dure... e applicate seriamente... accoglienza zero! Amnistia zero! Comprensione zero!... E i giudici, mi facciano il favore di incriminarli, perseguirli questi clandestini, invece di perseguitare fino all’isteria noi liberi produttori italiani! Ma lo sa che mi hanno messo sul collo un tal numero di incriminazioni, processi, condanne che mi sembra d’essere il figlio cattivo di Craxi! Non posso neanche andare a fare pipì alle Bahamas che subito scatta un avviso di reato! Ma dov’è finita la privacy?!”

 

 
Nome: Gabriele .
Cognome: Albertini
Professione: Sindaco di Milano
“Ha qualcosa da dichiarare?” - “Sì, denuncio il pericolo di esplosione demografica. Ogni giorno la nostra città è invasa da 300 e più clandestini. Bisogna assolutamente cacciarne un minimo di 100 al giorno, scelti fra le varie etnie, altrimenti qui si scoppia!”
“Chiedo la parola!”
Nome: ....................
Professione: Prefetto di Milano
“Lei, signor Sindaco, dice cose senza senso. Non abbiamo i mezzi né le strutture per tener fronte a una simile massa di profughi clandestini... e soprattutto, è quasi impossibile arginare la delinquenza di recente importazione.”
“E allora, se non siete in grado voi di sbattere fuori la delinquenza, ci penso io. Ordino lo sgombero immediato di tutti i caseggiati fatiscenti, le ex fabbriche occupate da migliaia di clandestini!”
“Signor Sindaco, attento che in quelle fetenzie di caseggiati non troverà nessun criminale. I criminali alloggiano in appartamenti con tutti i confort.”
Alla quattro del mattino, del 18 gennaio, avviene lo sgombero
“Sono Rachid Ellafi, nazionalità marocchina: anche col permesso di soggiorno, gli italiani non ti assumono. Lavori in nero. O così o niente.”
 
“Mi chiamo Raffaele Stanino, sono appuntato di polizia. Mi vergogno d’aver partecipato a quello sgombero. S’è trattato di un’operazione polverone messa in piedi solo per calmare un po’ l’opinione pubblica esasperata e anche molto pompata dai mass media. Quando ieri notte siamo entrati nei capannoni della vecchia fabbrica c’era con noi un gruppo di operatori tv che puntavano i riflettori dentro quei corridoi e stanzoni senza luce. I riflettori hanno sbiancato di luce i dormitori, cumuli di gente assiepata su un pavimento sconnesso, povere donne svegliate in piena notte, terrorizzate... bambini che urlavano per lo spavento, un freddo micidiale... mura che colavano acqua... immondizia e detriti sparsi dappertutto, una donna avvolta in una coperta, intervistata mentre gli agenti la sollecitano a raccogliere i suoi stracci.”
 
Florian, albanese, ingegnere: Facevo pulizie in un palazzo di tre piani più cantina per 9 ore al giorno. Dopo un mese mi hanno dato 350 mila lire.”
Gjin, albanese: mi vogliono rimpatriare. Facciamo lavori che gli italiani non vogliono più fare e viviamo il coraggio di raccontarlo a mia moglie. Poi un giorno ti prendono e ti ordinano di andartene. Che dirò ai miei figli? Perché non vanno negli appartamenti di quelli che sfruttano le prostitute? Perché non rimandano in Albania le ragazze che stanno sulle strade? In tutta Europa accolgono i lavoratori stranieri. Milano non ha dormitori per noi. A me, perché clandestino hanno chiesto 6 milioni di anticipo per affittare un appartamento. M’è venuto persino da ridere.
 
“Mi chiamo Ruvea Stuminov. Sì, parlo italiano, conosco cinque lingue.
Laureata.
Slovena.
Lavoro in un’impresa di trasporti qui a Milano. In questo stanzone, di questa fabbrica diroccata, ci siamo accampati in 40 fra cui 7 bambini.
3 donne sono incinta.
Tutti lavorano in nero.
L’acqua potabile ce la passa il prete della vicina parrocchia, alcuni abitanti del quartiere hanno insultato il prete perché tiene mano ai clandestini che vivono in questo porcile.”
 
“Mi chiamo Star Pizzu, agente di P.S. Stiamo buttandoli fuori tutti. Abbiamo ricevuto l’ordine di bruciare gli stracci che i clandestini non sono in grado di portarsi via subito. Li carichiamo su dei pullman. Dove li portiamo? Non si sa. Dove capita capita. Quasi tutti in mezzo a una strada?” - “E i bambini e le donne incinta?” - “ Noi abbiamo solo l’ordine di portarli fuori dalla fabbrica e di scaricarli.”
 
“Mi chiamo Luisa Bertone, milanese. Abito in zona da 40 anni. Sono incazzata nera a vedere cosa stanno combinando questi. Possibile che abbiano messo in piedi ‘sto sgombero senza preoccuparsi prima di dove scaricare ‘sta povera gente? Questa è roba da tedeschi nazisti! E il Sindaco?... Io mi chiedo, sbaglio o è lui in persona che ha ordinato lo sgombero?... Non se l’è domandato come passeranno la notte ‘sti disgraziati, dico di gennaio col termometro sotto zero, ma manco fossero animali! Ma io andrei a casa sua, lo preleverei con tutta la giunta e lo sbatterei qui a dormire anche lui sulle panchine, senza coperte. Chissà se poi non gli viene un sentimento umano!”
Quella notte a dei ragazzi del gruppo d’assistenza del Leoncavallo che giravano nelle periferie per portare cibo ed aiutare i disperati senza tetto, scoprono della gente su delle panchine, avvolti negli stracci... sono ucraini. Uno di quei ragazzi parla qualche parola di russo, li raccolgono, li accompagnano al Centro sociale. Sono una diecina... quasi tutte donne. Le sistemano dentro uno stanzone riscaldato, procurano qualche coperta, offrono loro qualcosa di caldo da bere e da mangiare. I ragazzi che li hanno soccorse vengono a sapere che altre persone dello sgombero, sono accampate sotto a un ponte nei pressi della ferrovia, li raggiungono e portano anche loro al centro: nel giro di 12 ore nello stanzone sono ospitate più di 100 persone, circondate dalla solidarietà di molti milanesi che arrivano, dopo un mio appello a Radio Popolare, coperte, viveri, indumenti e denari. Mancano letti. Con i compagni vado in un grande emporio per campeggio: “Vorremmo un centinaio di brandine…” – “Signora Rame, siamo in gennaio…” “Lo so… la prego ci aiuti… dobbiamo sistemare dei disperati senza tetto… ci faccia anche lo sconto…” Si mette a ridere. E’ contento, si vede. Ok. Ci da anche un mezzo per il trasporto. Magnifico!
Gli immigrati, un po’ tra il meravigliato e frastornati ci aiutano a scaricare e a sistemare i lettini. Comincia ad arrivare gente. Scaricano quello che ci offrono, con umiltà e imbarazzo. Stringono la mano a tutti. Pare di vivere in un film.
Un anziana signora, modestamente vestita, accompagnata dal nipote, mi chiama sottovoce: “Franca… tieni. – ha in mano del denaro -Povera gente! Aiutali tu.” Mi consegna quasi un milione. “Ma è troppo” – dico. “Non preoccuparti, non mi manca niente. Sono miei risparmi. Sono contenta di darli a loro.” Sono un po’ preoccupata. Non so se accettare. Il nipote, un ragazzino esile sui 16 anni, insiste. “Non preoccuparti, mia nonna è un angelo!”
“Attenzione! Tutti zitti! Ascoltate!” racconto quello che sta avvenendo, sventolando i biglietti da 100 mila (manca poco al milione). Scoppia un applauso. La nonna, imbarazzata sorride felice.
Che giornata!
Si ferma una Mercedes. Scende una famiglia al completo con tre ragazzini. Scaricano materassi, coperte… Hanno borse zeppe di ogni ben di Dio, giocattoli compresi.
“Guardate figli… guardate – dice il padre a gran voce - Ricordatevi di questo momento e imparate cos’è la povertà, la disperazione, la fatica di campare.”
Siamo tutti ammutoliti. Un silenzio da tagliare col coltello. Ringraziamo stringendoci intorno a loro… e mandiamo giù il magone che ci stringe la gola.
Magnifica Milano, grandi i milanesi… generosi. Fantastici!
“A tavola! – urla una delle mamma del Leonka – il pranzo è pronto!”
Che giornata!!! E’ persino bello essere al mondo.

 

leggi qui la rassegna stampa

Corriere della Sera

La Repubblica


MORTE IN CARCERE A PERUGIA - SI CHIEDONO CHIARIMENTI SULLE CIRCOSTANZE

 Cari Amici,
ecco un articolo di cronaca su un fatto inspiegabile, e di seguito l'interrogazione da me sottoscritta, a prima firma della Sen. Emprin Gilardini
Ucciso in carcere dal proibizionismo (fonte: carta.it)
Sarah Di Nella
[24 Ottobre 2007]

 
E’ morto tra le mura di un carcere, dov’era finito perché possedeva due piantine di marijuana per uso personale. È questa la sorte toccata ad Aldo Bianzino, cinquantaquattrenne di Pietralunga, nel nord dell’Umbria, morto in una cella del carcere di Capanne, a Perugia, nella notte tra il 13 e il 14 ottobre scorsi. Nessuna traccia apparente di violenza sul suo corpo, ma «lesioni compatibili con l’omicidio» dice l’autopsia, che rivela quattro emorragie cerebrali, traumi al fegato e due costole rotte. Sembrano i segni di un pestaggio.
Aldo Branzino era stato portato nel commissariato di Città di Castello e poi trasferito nel carcere di Capanne, nel pomeriggio del 13 ottobre, insieme alla sua compagna Roberta, dopo una perquisizione della polizia nel loro casale immerso nella campagna umbra. E fino al suo ingresso in carcere, Aldo stava bene. Separati al momento di entrare in prigione, Aldo e Roberta sono stati visitati dall’avvocato d’ufficio che ha registrato il loro normale stato di salute, e la preoccupazione di Aldo per Roberta.
Falegname di professione, incensurato, Aldo si era trasferito dal Piemonte in Umbria, passando dall’India, alla ricerca di una vita più vicina alla natura, armoniosa, che aveva trovato nel rapporto con una piccola comunità spirituale vicina agli Hare Krishna. Dai suoi conoscenti e amici i commenti sono di incredulità assoluta. Aldo viene descritto come «la mitezza in persona» e il suo credo nonviolento di stampo gandhiano esclude qualsiasi lite con altri detenuti. Peraltro, l’unico giorno in carcere di tutta la sua vita, Aldo l’avrebbe passato in isolamento.
Al senato, Haidi Giuliani, Giovanni Russo Spena e Erminia Emprin Gilardini hanno chiesto martedì 23 ottobre in una interrogazione parlamentare urgente al ministro della giustizia Clemente Mastella, di avviare una procedura immediata per fare chiarezza sulla vicenda.
«Il decesso di Aldo Branzino – si legge – deve essere chiarito. Dalle notizie apprese dalla stampa, risulta che le lesioni riscontrate sul corpo di Aldo Branzino, dopo il suo decesso, configurerebbero la compatibilità con l’omicidio, in quanto il medico legale escluderebbe la morte per infarto, riscontrando quattro commozioni cerebrali, lesioni al fegato, due costole rotte. Branzino sarebbe stato ristretto in cella da solo, dato che la prassi prevede l’isolamento dell’arrestato prima dell’incontro con il giudice preliminare». Un’altra interrogazione, presentata dal senatore Mauro Bulgarelli [Insieme con l’Unione], denuncia «un fatto di inaudita gravità, se fossero accertate le gravissime lesioni che sarebbero state riscontrate sul corpo di Aldo Bianzino». «E’ sconcertante – dice Bulgarelli – che a 24 ore dall’arresto, le cui circostanze sono peraltro da chiarire, un uomo muoia per cause che potrebbero essere non accidentali e fare addirittura ipotizzare un pestaggio».
La procura di Perugia ha aperto un’indagine «sulle cause del decesso del detenuto».
Dieci giorni dopo la morte di Aldo, né la sua compagna, né i suoi tre figli, né i suoi familiari hanno potuto vedere il suo corpo.
Nel moderno carcere di Capanne, inaugurato da Roberto Castelli quando era ministro della giustizia del governo Berlusconi, non è la prima volta che un detenuto muore. Nel rapporto «Morire di carcere», pubblicato dall’associazione Ristretti orizzonti del giugno 2006, sono segnalate due altre vicende. Quella di una detenuta italiana di 44 anni, che si era suicidata nel centro clinico penitenziario del carcere di Perugia e quella di un detenuto straniero, morto dopo un intervento chirurgico alle emorroidi, per mancanza di assistenza notturna.
I movimenti antiproibizionisti di Perugia e di tutta Italia, assieme alle associazioni di tutela dei detenuti, stanno pensando a un’iniziativa da tenere nel capoluogo umbro nei prossimi giorni. Per protestare contro il carcere che uccide.

Legislatura 15 Atto di Sindacato Ispettivo n° 3-01031 Atto n. 3-01031

Pubblicato il 24 ottobre 2007
Seduta n. 236

EMPRIN GILARDINI , RUSSO SPENA , GAGGIO GIULIANI , RAME - Al Ministro della giustizia. -
Premesso che:
da notizie apprese dalla stampa nella notte di venerdì 12 ottobre è stato arrestato nella propria abitazione, nel comune di Petralunga (Perugia), per violazione dell'articolo 73 del decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, il signor Aldo Bianzino;
dopo l'arresto, lo stesso sarebbe stato condotto assieme alla moglie nel commissariato di Città di Castello per le formalità di rito e quindi trasferito nel carcere di Capanne (Perugia);
i due coniugi sarebbero stati divisi non appena entrati in carcere, e sarebbero state riscontrate da parte dell'avvocato d'ufficio condizioni normali di salute in entrambi;
nella notte di sabato 13 ottobre il signor Aldo Bianzino è deceduto all'interno della struttura penitenziaria;
il signor Bianzino, secondo le normali procedure, sarebbe stato ristretto in cella da solo, prevedendo la prassi l'isolamento dell'arrestato prima dell'incontro con il giudice preliminare;
le lesioni riscontrate sul corpo del signor Aldo Bianzino, dopo il suo decesso, configurerebbero la compatibilità con l'omicidio, in quanto il medico legale escluderebbe la morte per infarto, riscontrando quattro commozioni cerebrali, lesioni al fegato, due costole rotte,
si chiede di sapere quali procedure urgenti di competenza il Ministro in indirizzo intenda avviare per fare completa chiarezza sulla vicenda.

Argomento: 

STRETTO DI MESSINA SEN. RIPAMONTI: DI PIETRO SCONFESSA INTESA UNIONE

Cari amici, cerchiamo anche oggi di aggiungere un tassello alla vicenda della società Stretto di Messina: ecco un comunicato stampa del Sen. Natale Ripamonti, relatore in aula del decreto fiscale.

Il Senatore fa notare come l’emendamento non provenisse dalla cosiddetta area massimalista, ma fosse frutto del lavoro della commissione Bilancio. Era quindi una mediazione di tutte le istanze della coalizione. Nonostante questo, stando alle parole di Natale Ripamonti, il ministro avrebbe inteso mettere un atto una “prova di forza”.
 
“Il voto contrario dell'Idv sull’emendamento della commissione Bilancio per la soppressione della società Stretto di Messina Spa è stato ‘una prova di forza’ da parte di Di Pietro che ha sconfessato un accordo raggiunto in maggioranza”, e aggiunge: "C'e' stata una trattativa anche ieri, ma non c'e' stato niente da fare".  Lo ha affermato il relatore al decreto legge collegato alla Finanziaria, Natale Ripamonti, al termine della mattinata di votazioni nell'Aula del Senato sul provvedimento.
“L'emendamento - ha spiegato il relatore - era della commissione, non dei Verdi o della cosiddetta sinistra radicale . Abbiamo tentato fino alla fine una mediazione accettabile, ma è stata rifiutata dal ministro Di Pietro. Tra l’altro, l’emendamento era un articolo aggiuntivo e quindi il provvedimento rimane integro.